Camorra, omicidio a Miano: due morti Killer appostati, esplosi 13 colpi di pistola Vendetta dei Lo Russo | Guarda le foto

di Manuela Galletta

Ci sono i Lo Russo. Duri a morire. Nonostante gli arresti e le condanne subite. Nonostante i pentimenti eccellenti di tre generazioni di capicamorra che hanno costretto lo storico sodalizio di Miano a ridisegnare la linea della leadership. E poi ci sono loro, i ribelli. Gli scissionisti. Storici esponenti della cosca che, approfittando dell’improvvisa debolezza dei ‘capitoni’, hanno tentato il salto di qualità: svestire i panni dei gregari per indossare quelli del boss, degli uomini di potere.
E’ in questo scenario che, intorno alle sette e mezza di stasera, si è consumato l’ennesimo omicidio di camorra. Due i morti ammazzati: Biagio Palumbo, di 53 anni, e Antonio Mele ‘o animale, di 57 anni. Nomi più che noti agli archivi delle forze dell’ordine ed anche delle cronache. Storici esponenti dei Lo Russo un tempo, scissionisti oggi. Si trovavano a bordo di una Peugeot alla seconda traversa Janfolla nel quartiere Miano, periferia nord di Napoli, quando i killer hanno aperto il fuoco. Tredici colpi di pistola, esplosi in rapida successione. Due i killer, appostati in attesa dei bersagli. Segno che chi ha agito conosceva bene le abitudini dei bersagli, uno dei quali, Palumbo, abitava proprio lì. Lì dove si è fermata la Peugeot, rimasta coi fari accesi, investita da una mitragliata di proiettili.

La vendetta dei Lo Russo contro i ribelli legali a Pasquale Angellotti
Ucciso Palumbo. Ucciso Mele. Uccisi per vendetta, è la prima ipotesi dei carabinieri della compagnia Vomero giunti sul posto e con delega alle indagini data dalla Direzione distrettuale antimafia di Napoli. Un’ipotesi motivata anche dal luogo in cui s’è consumato l’agguato. La seconda traversa Janfolla è uno dei luoghi simbolo della scissione. È la ‘casa’ di Pasquale Angellotti, conosciuto all’anagrafe della camorra come ‘Linuccio ‘o cecato’. E’ la ‘casa’ dell’uomo che per decenni al fianco dei Lo Russo, che per i Lo Russo si è sporcato le mani tanto da rischiare per ben due volte una condanna all’ergastolo: Angellotti è stato incriminato prima per il duplice di Salvatore Manzo (ras degli Stabile) e del suo guardaspalle Giuseppe D’Amico (avvenuto il primo giugno 2004) e poi per l’agguato costato la vota all’ercolanese Raffaele Calcagno (i ‘capitoni’, era l’assunto della procura, avevano prestato ai Birra i propri killer nella faida degli Ascione). Ma a processo entrambe le accuse sono cadute, e Angellotti – nell’estate dello scorso anno – ha miracolosamente riconquistato la libertà. Dal carcere a Miano, il passo è stato breve. E rapida è stata anche la scelta di Angellotti di affrancarsi dalla ‘famiglia’ in cui per anni ha vissuto. Seconda traversa Janfolla, dunque. La sua roccaforte. Il luogo in cui ha iniziato a mettere le radici il suo gruppo scissionista. Non il solo a Miano. Ché nel quartiere già da tempo imperversavano i Nappello, pure loro ex soldati dei Lo Russo.

La storia criminale delle vittime raccontata dalla fedina penale
E’ in quota Angellotti che Palumbo e Mele vengono collocati. Personaggi di rango, come racconta la loro storia criminale. Una storia che li ha portati in galera per diverso tempo. Antonio Mele ha scontato una condanna ad otto anni per associazione di stampo mafioso, condanna divenuta definitiva nel 2015 e rimediata per effetto dell’inchiesta sui  Lo Russo che il 3 novembre del 2010 culminò nell’esecuzione di 50 ordinanze di custodia cautelare in carcere. Quanto a Palumbo, invece, l’uomo era stato condannato nel novembre del 2015 a quattro anni per usura ed estorsione, caduta l’aggravante della matrice camorristica, per fatti avvenuti a Firenze. La Dda, nel corso del processo, chiamò a testimoniare anche il boss Salvatore Lo Russo al fine di tratteggiare la figura di Palumbo.

 

mercoledì, 7 Febbraio 2018 - 21:51
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