La giustizia lumaca costa e costa anche tanto. Tra indagini lunghe e processi infiniti, lo Stato spende cifre blu. Da quando è in vigore la legge Pinto lo Stato ha avuto condanne per quasi un miliardo di euro.
I numeri sono agghiaccianti. Attualmente i processi in corso che superano i limiti della ragionevole durata (tre anni per il primo grado, altri due per l’appello e un anno in Cassazione) sono 968mila. Per il penale sono oltre 345 mila, ma il vero ‘bubbone’ è rappresentato dal settore civile della giustizia con quasi 623 mila 30 settembre scorso. Il quadro preoccupante è disegnato dal ministero della Giustizia. La situazione si è aggravata da quanto è entrata in vigore la legge Pinto, che sanziona la durata eccessiva. La legge fissa la tempistica delle indagini preliminari – non oltre due anni per i reati gravi – ma bastano nuovi elementi, in astratto, per continuarle all’infinito. Se il magistrato si trasferisce il fascicolo viene riassegnato e si riparte da zero. «Quella legge è in parte inapplicata, non c’è nessun impedimento, di fatto, per trattenere un fascicolo anni e anni negli armadi», spiega Stefano Savi consigliere del Consiglio nazionale forense. Il carico di arretrato è di 3 milioni i processi da smaltire nel civile, oltre 1,5 milioni nel penale. «C’è un evidente sproporzione tra il contenzioso e le forze in campo. Dal 2006 l’organico dei magistrati non è mai stato coperto, talvolta si è arrivati anche sotto le 9 mila unità, abbiamo fatto i conti con la mancanza di 9 mila amministrativi. Assenze che hanno influito sui tempi: in alcuni casi il passaggio dal primo grado all’appello, che consiste nel far fare al fascicolo solo pochi piani dello stesso edificio, sono trascorsi anche due anni», spiega Eugenio Albamonte presidente dell’Associazione nazionale magistrati.
Ad incidere sono anche gli errori giudiziari e le ingiuste detenzioni che, da soli, sono costati allo Stato quasi 37,7 milioni di euro nel 2017, secondo i dati Mef, sono 1.013 casi di persone arrestate per sbaglio. Catanzaro con 158 casi guida la classifica anche dei risarcimenti – quasi 8,9 milioni -, seconda Roma con 137 vittime e poco meno di 4 milioni versati. Il fenomeno prevale al Sud – 8 città nella top 10 – con Napoli 113 casi (2,87 milioni) e Bari con indennizzi per oltre 3,5 milioni (94 persone) a contendersi la terza posizione. Eppure nel 2015 non si sono registrati casi di condanna per la responsabilità civile dei magistrati, nel 2016 e nel 2017 solo due che sono state oggetto di appello. Sono in attesa di un risarcimento definitivo i familiari di una donna uccisa dal marito nel 2007, dopo aver presentato 12 querele. I giudici del tribunale di Messina hanno riconosciuto la responsabilità di chi indagò, ma solo per il danno patrimoniale. L’Associazione nazionale magistrati da tempo sta lottando affinché lo stato metta a disposizione nuove risorse.
martedì, 27 Febbraio 2018 - 18:32
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