Una storia kafkiana, che mette a nudo i danni che la sciatteria di certa informazione può arrecare a un normale cittadino che non ha mai avuto problemi con la legge. Una storia che dimostra come l’inescusabile distrazione, a volte, non faccia distinzione, arrivando a colpire anche personaggi più in vista di altri.
La storia arriva da Napoli e stavolta ha per protagonista un magistrato. Come Gregor Samsa, che una mattina si sveglia e scopre di aver assunto le fattezze di uno scarafaggio, così il giudice Nicola Russo, nato e vissuto a Castellammare di Stabia, si ritrova il proprio volto sbattuto in prima pagina a corredo di un articolo che parla di un magistrato corrotto. E non una volta soltanto. Tutta colpa di un caso di omonimia e, soprattutto, dell’approssimazione di certa stampa nel trattare le notizie di cronaca.
L’incubo di Nicola Russo, una lunga carriera in magistratura trascorsa negli ultimi dieci anni tra Torre Annunziata e Napoli, comincia quando la procura della Repubblica di Roma accende i suoi riflettori su un altro Nicola Russo, magistrato pure lui, ma in servizio presso la Commissione tributaria del Lazio e consigliere di Stato, per diverse storie di corruzione in atti giudiziari. È il luglio del 2016. La notizia è esplosiva, perché esplosivo è lo scenario tratteggiato dagli inquirenti: Nicola Russo, quello del Consiglio di Stato, viene accusato di aver aiutato l’amico Stefano Ricucci a vincere una causa da 20 milioni con l’Agenzia delle Entrate quando era membro di una Commissione tributaria. La notizia vola da un giornale all’altro. E qualche quotidiano, oltre al volto ormai noto di Stefano Ricucci, pubblica pure la foto di Nicola Russo. O meglio, quella che crede essere la foto di Nicola Russo. Già, perché la persona ritratta nello scatto non è il giudice indagato bensì il giudice di Napoli che era finito nel circuito di Google per altre vicende legate alla sua onorevole attività di magistrato. Chi recupera la foto non compie le dovute verifiche, s’accontenta di quell’accostamento nel motore di ricerca “giudice” e “Nicola Russo” e pubblica il materiale pensando di aver fatto lo scoop. Ma di scoop, è evidente, non si tratta. Si tratta bensì di un grave errore, lesivo dell’immagine e della dignità di un magistrato estraneo ai fatti oggetto dell’inchiesta della procura. Tant’è: la notizia dura lo spazio di qualche giorno e l’immagine di Nicola Russo da Castellammare di Stabia non viene più riproposta. Fino all’ottobre del 2017 quando il giudice Russo, sempre il Consigliere di Stato, si ritrova nuovamente coinvolto in una storia di corruzione di atti giudiziari unitamente a degli imprenditori. Da questo momento in poi la girandola di errori diventa interminabile: comincia un autorevole quotidiano nazionale, seguono altri giornali e, nei giorni scorsi, finanche il Tg di La7. Tutti a riportare la foto di Nicola Russo, tutti a mostrare la sua immagine accostandola ad un reato. Grave. E a nulla sono servite le rimostranze del diffamato, che ha di volta in volta contattato chi ha sbagliato allo scopo di correggere l’errore. Qualche rettifica è pure arrivata, ma la smania del ‘copia e incolla’, del ‘rubare’ da Internet o da altri colleghi del materiale senza mai metterlo in discussione continua ad alimentare questo storia kafkiana. Lui, il giudice diffamato, che nel frattempo è diventato componente del comitato direttivo presso la scuola superiore della magistratura, non sa più come difendersi, come difendere la sua onorabilità. E un giorno sì e uno no, avverte i suoi contatti su Facebook – lo strumento di comunicazione di massa per eccellenza – degli scivoloni che di volta in volta lo danneggiano. L’ultimo post è di pochi giorni fa: «Ho appena appreso che nuovamente la mia immagine è stata usata per commentare l’odierno arresto dell’omonimo magistrato – scrive amareggiato -. Questa volta il disastro dell’approssimazione di giornalisti di ventura si è materializzato al TG LA7 nell’edizione principale. Ma insomma, che devo fare? Cambiare nome? Io non voglio stare più sui social network ma non ho altro modo per cercare di far sapere che no, non sono io. È una vergogna rovinare così l’immagine degli altri». Come dargli torto.
Manuela Galletta
mercoledì, 7 Marzo 2018 - 12:17
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