Niente trattamenti di favore ai pentiti che, per via della scelta intempestiva di passare dalla parte dello Stato, non forniscono contributi fattuali alla costruzione dell’impianto accusatorio. La linea di rigore chiesta dal sostituto procuratore generale al processo di secondo grado sull’omicidio di Fortunato Scognamiglio, ammazzato nella terza faida di Scampia, è passata. Nel primo pomeriggio di ieri i giudici della prima sezione della Corte d’Assise d’Appello di Napoli hanno condannato i tre fratelli Caiazza, ex killer al soldo del clan Amato-Pagano, alla pena di 30 anni carcere. Niente attenuanti per la collaborazione con la giustizia, niente premio speciale previsto dalla Legge per i pentiti. Concesse solo le attenuanti generiche per via delle loro ammissioni sull’evento omicidiario. Le stesse identiche attenuanti che sono state concesse al boss Mario Riccio, l’ex enfant prodige della camorra che si mise a capo degli Amato-Pagano per via del suo rapporto di parentela, acquisito, col boss detenuto Cesare Pagano. Riccio, che di Pagano è il genero, ha ‘ammesso gli addebiti’ prima della requisitoria del sostituto procuratore generale, che c’è stata qualche udienza. E l’aver recitato la sintetica formula confessoria, quella tanto contestata dalla procura, gli è bastato ad essere ritenuto meritevole di uno sconto di pena. Lo sconto, per intenderci, che ha spazzato via la pesante condanna all’ergastolo che fu disposta nei suoi confronti all’esito del processo di primo grado. Il boss trattato alla stessa stregua dei tre pentiti, i fratelli Paolo, Michele e Antonio Caiazza. Linea dura, quella dei giudici. Adottata alla luce di un ragionamento semplice: i Caiazza sono passati a collaborare con la giustizia all’indomani della condanna al carcere a vita rimediata in primo grado proprio per l’omicidio di Fortunato Scognamiglio, uno dei delitti che scandirono la faida tra la Vanella Grassi (appoggiati dagli Amato-Pagano) e gli Abete-Abbinante-Notturno. Il punto è che le loro successive dichiarazioni – come già spiegato dal sostituto procuratore aggiunto – nulla hanno aggiunto alle risultanze delle indagini che hanno consentito di incastrare il boss Mario Riccio e il capo della Vanella Grassi Antonio Mennetta, entrambi condannati all’ergastolo nel precedente grado di giudizio. Ecco perché si è ritenuto che ai tre, dei quali è stata comunque riconosciuta l’attendibilità, non vadano concessi premi speciali su questo procedimento. Linea dura, dunque. Mai quanto quella invocata dal pg, che aveva proposto addirittura il carcere a vita per Michele e Paolo Caiazza, al pari di Mario Riccio di cui si riteneva del tutto priva di valore e strumentale l’ammissione degli addebiti, e 30 anni per Antonio Caiazza, al quale il magistrato riconosceva il merito di aver di aver fornito qualche particolare in più sul caso. I giudici sono stati ad ogni modo rigorosi. L’ergastolo, alla fine dell’udienza, è stato comminato solo ad Antonio Mennetta, il cui gruppo criminale (la Vanella Grassi) era in guerra con gli Abete-Abbinante-Notturno per il controllo delle piazze di spaccio di Scampia: Mennetta – è la pacifica ricostruzione accusatoria – chiese aiuto a Mario Riccio per la consumazione dell’agguato e Riccio, che era rimasto in buoni rapporti d’affari con la Vanella benché il gruppo si fosse distaccato dai ‘melitesi’ per mettersi in proprio, mise a disposizione di Mennetta tre dei suoi uomini per la realizzazione del raid: i fratelli Caiazza.
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sabato, 21 Aprile 2018 - 12:00
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