Ponticelli e i nuovi ‘manifesti criminali’: boss benedice le alleanze coi tatuaggi Bombe, proiettili e tigri sulla testa

Michele Minichini, figlio del ras detenuto Ciro
di Manuela Galletta

Alla base della nuca c’è la scritta Minichini. Il cognome di famiglia. E non una famiglia qualunque. Nei report della Direzione distrettuale antimafia e negli archivi delle cronache giudiziarie, scrivere Minichini equivale a leggere camorra. La camorra di Ponticelli. Un pezzo di storia del malaffare dell’area a est di Napoli che inizia a snodarsi alla fine degli anni Ottanta quando i Sarno, dal rione De Gasperi, diventano esercito, e da esercito diventano impero. Impero criminale.
I Minichini, Ciro Minichini per l’esattezza, è al fianco di uno degli uomini più fidati dei Sarno, Antonio De Luca Bossa detto ‘o sicc. Lo stesso uomo che alla fine degli anni Novanta compirà un clamoroso tradimento ai danni dei suoi ‘amici’, arrivando a progettare e a mettere in pratica il primo omicidio a mezzo di autobomba in Campania. Minichini resta al fianco di ‘o sicc, anche perché ne sposa la sorella Anna. E nel corso della sua carriera, coi Sarno soprattutto, commette una sfilza di omicidi che oggi lo tengono inchiodato in prigione con pesanti sentenze di condanna. E’ la fine di un camorrista, ma non di una tradizione criminale di famiglia. Che si tramanda di padre e in figlio. E’ Michele Minichini, classe 1990, il nuovo ‘capo’ della famiglia. Una famiglia che oggi ha una sua identità ben definita. Non più gregaria dei Sarno o di Antonio De Luca Bossa. Michele Minichini studia da boss sin da ragazzino, e fa il salto di qualità quando il suo fratellastro Antonio, figlio dello stesso padre e di madre diversa (Antonio è il figlio di Anna De Luca Bossa, Michele di Cira Ceppolaro) muore ammazzato, per errore, nell’agguato di camorra del gennaio 2013 al rione Conocal il cui vero obiettivo era Gennaro Castaldi, rimasto ucciso. E’ a questo punto che la storia criminale di Michele Minichini inizia a delinearsi. E le tradizioni di famiglia diventano la sua strada maestra. Alla base della nuca si fa tatuare il cognome Minichini. Un simbolo di appartenenza. Non mutuato dalle fiction, bensì ispirato dai suoi modelli di riferimento: Cristian Marfella, che è figlio di Teresa De Luca Bossa (madre della matrigna di Michele Minichini), ha tatuato sul collo il soprannome del fratello ergastolano ‘Tonino ‘o sicc’ e sulla base della nuca la scritta ‘camorra’. Minichini fa lo stesso. Anzi, esagera. E usa la sua testa, letteralmente parlando, come manifesto criminale: si fa rasare la testa a zero e la disegna. Sulla tempia destra c’è il disegno di una granata grande poco più di una mela; su quella sinistra invece ci sono diversi ‘focolai’ di colore rosso, che altro non sono, a guardarli da vicino, che proiettili esplosi. Non è tutto: al centro della testa c’è l’immagine di una tigre con le fauci spalancate, e un’altra tigre sulla nuca. A completare il disarmante ‘affresco’ ci sono due numeri, posti sotto la scritta ‘Minichini’. Numeri di recente rifinitura: 46. Numeri, si badi bene, che non rappresentano il numero del campione di motociclismo Valentino Rossi. Nel gergo criminale napoletano la ’46’ è la zona dei Rinaldi di San Giovanni a Teduccio. E’ la zona di quella famiglia criminale, storica per altro, cui Michele Minichini si è avvicinato nel periodo più recente, trovando alleati per rafforzare la sua storia criminale: non a caso Minichini è stato arrestato per duplice omicidio, col ruolo di killer e co-mandante, nell’ambito dell’inchiesta che ha teorizzato l’esistenza di un’asse Michinini-Rinaldi per l’assassinio del boss dei «barbudos» Raffaele Cepparulo e dell’innocente Ciro Colonna. «Mo’ buttiamo a terra il capo di Ultimo… ce lo mangiamo fino alla via di sopra… lo rimaniamo a terra della porta della moglie… », diceva il 29 maggio 2016 ignorando di essere intercettato. Una storia criminale intesa, la sua. Una storia che Minichini non ha mai nascosto agli occhi della gente. Chi indaga su quelle aree a est di Napoli soffocate dalla criminalità organizzata sa bene che Michele Minichini va in giro senza mai coprire il capo: vuole essere visto, vuole che si sappia che adesso è anche lui un ras, e che non è solo il ‘figlio di’. E questa è ‘roba’ che non impari guardando Gomorra. Non è ‘roba’ che mutui ispirandoti a una fiction. Questa è ‘roba’ che uno come Minichini ha nel sangue.

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venerdì, 27 Aprile 2018 - 08:05
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