Il rione della morte. Il rione della faida. Conocal, periferia dello già periferico quartiere di Ponticelli che, sul versante sud, segna la fine della città di Napoli e l’inizio della provincia. E’ qui che giovedì sera Emanuele Errico, 19 anni, è stato ucciso. Fulminato da un solo colpo di pistola alla schiena, mentre provava a scappare per infilarsi in uno dei palazzoni che svettano nel mezzo del nulla. Ucciso lui, ferito Rosario Ciro Denaro di 30 anni, il primo ad essere colpito. A Denaro è andata bene: la pallottola lo ha preso alla gamba sinistra. Azione fulminea, messa a segno da almeno due persone giunte – dicono le prime voci raccolte dai carabinieri della compagnia di Poggioreale – a bordo di una macchina.
Si indaga negli ambienti della ‘mala’ anche se la camorra, le logiche di camorra, in questa storia sembrerebbero restare ai margini. I militari dell’Arma sono infatti orientati a ritenere che la morte di Emanuele Errico non sia da leggersi come il risultato di uno scontro tra gruppi criminali, come il frutto di una nuova contesa per la gestione delle piazze di spaccio. Si privilegia una pista personale, collegata ad una lite avvenuta nella vicina Volla. Fermo restando che i protagonisti di questa storia, a cominciare da Emanuele Errico, erano in qualche modo collegate al mondo del malaffare. Emanuele Errico non è mai stato uno stinco di santo, nonostante di tentativi compiuti per elevarsi, per staccarsi da quel contesto disgraziato, ne avesse compiuti. S’era messo a lavorare in una pizzeria; in comunità s’era avvicinato al mondo dell’arte, della musica, del teatro. Ma non è bastato. Le ‘sirene’ di quel rione emarginato di Napoli si sono dimostrate un richiamo troppo forte. Emanuele, quel rione, lo considerava casa sua. Lì aveva i suoi affetti, le sue amicizie. Amicizie ‘pericolose’. Mariano Abbagnara, il ragazzo che da minorenne uccise a sangue freddo Raffaele Canfora finendo con l’essere condannato e che poi è diventato protagonista dell’efficace documentario ‘Robinù’ sui baby boss, era sua amico. Nunzia D’Amico, la donna boss ammazzata sotto casa, al Conocal, nel dicembre 2015 la stimava, la venerava e ne rimpiangeva la scomparsa. Pure Antonio Minichini era amico suo. Antonio lo uccisero, per errore, sempre nel rione Conocal. Una storia che per certi versi ricorda molto l’agguato di giovedì. Antonio Minichini, figlio di Anna De Luca Bossa (oggi in cella anche per il duplice omicidio del boss Raffaele Cepparulo e l’innocente Ciro Colonna), era sullo scooter insieme a Gennaro Castaldi. Era sera quel 29 gennaio. Castaldi e Minichini avevano appena salutato altri amici, tra i quali c’era Cristian Marfella (zio di Minichini essendo il fratellastro della mamma del ragazzo). Castaldi raggiunge il porticato sotto il suo palazzo. E qui, mentre i due sono ancora in sella, scatta l’agguato. I killer del clan De Micco, appostati, sparano all’impazzata: volevano uccidere Castaldi, perché al soldo dei D’Amico (coi quali i De Micco erano entrati in guerra), ma ammazzarono anche Minichini, il quale, a dispetto delle parentele ingombranti che si portava dietro, era, fino a quel momento, rimasto fuori dalle logiche criminali. Quel delitto inaugurò la faida tra clan. Anche giovedì scorso era sera quando Emanuele Errico e Rosario Ciro Denaro sono stati colpiti. Ma la camorra, la faida, questa volta non è la causale dell’agguato.
sabato, 28 Aprile 2018 - 20:16
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