«Nel Paese c’è un clima di rabbia preoccupante». Verso il tema dei migranti, verso l’alterità, la diversità. Verso chi delinque. «Ma la risposta non può essere affidata al giustizialismo». La risposta alla pur legittima richiesta di sicurezza da parte dei cittadini non può essere una politica della Giustizia che vira tutta sull’inasprimento delle pene, sulla promessa (irrealizzabile dati i costi e i tempi) di nuove carceri, sull’azzeramento della prescrizione (unico argine esistente alla lunghezza esasperante e non costituzionale dei processi).
Alessandro Barbano, che durante la sua direzione de ‘Il Mattino’ (finita pochi giorni fa tra le polemiche e lo stupore generale) ha assunto una posizione sempre molto critica verso le strategie di compressione dei diritti di indagati e imputati, guarda con estrema diffidenza ai punti inseriti nel famoso contratto di Governo giallo-verde.
Direttore, partiamo dalla prescrizione: l’obiettivo è bloccarla dalla fase del rinvio a giudizio, di fatto rendendo infinita la durata di un processo. Bonafede dice che è la strada giusta per far sì che si arrivi a una condanna.
«In realtà è la strada giusta per una barbarie processuale. In termini pratici, significa che per un reato di corruzione si potrà stare sotto il maglio della pubblica accusa per 22-23 anni. Già con la riforma del Pd si è intervenuti sulla prescrizione rendendola di fatto giustizialista e negazionista dei diritti dell’indagato, ma qui si sta andando davvero oltre».
Però in Italia esiste un problema prescrizione. I processi destinati al macero perché non si concludono nei termini di legge sono sempre in aumento secondo le stime del ministero della Giustizia. C’è qualcosa che non funziona.
«E’ l’organizzazione degli uffici che non funziona. Se è vero che molti processi sono estinti perché prescritti, è altrettanto vero che non c’è corrispondenza tra i carichi di lavoro che hanno i Tribunali e il numero delle prescrizioni. Esistono infatti in Italia Tribunali con poco organico e con poche prescrizioni. E Tribunali con molto organico e molte prescrizioni. Non viceversa.
Sta dicendo che in alcuni Tribunali si lavora male?
«E’ evidente dai dati che esiste un problema di efficenza dell’organizzazione».
Invece di intervenire su queste disfunzioni, si preferisce intervenire sulla prescrizione, sull’inasprimento delle pene. Sui reati predatori, il Governo promette una stretta. Sui reati commessi dai minori, si riflette sull’abbassamento dell’età imputabile. Si ha la sensazione di una giustizia manettara e populista.
«Il problema della Giustizia penale è di avere una misura e fare valutazioni che sono scevre da emozioni. Invece il legislatore si muove sulla scorta delle emozioni. E le affronta in modo inadeguato anche laddove è evidente che ci sono delle disfunzioni sulle quali intervenire»
Quali disfunzioni?
«Il tema della legittima difesa ad esempio. E’ indiscutibile che serve una correzione, perché oggi indubbiamente si espone chi si difende al sacrificio di un processo lungo e tormentoso. Tuttavia è pur vero che bisogna fare attenzione a come si interviene su questo tema. Abrogare il contenuto della proporzione tra offesa e difesa, come sembra emergere dal Contratto, significa armare i cittadini e legittimarli ad usare in maniera indiscriminata e spregiudicata le armi. Questo è pericoloso, è contra ius. Ha dei rischi soprattutto in questo clima di rabbia del paese. La risposta a queste emergenze non può essere affidata al giustizialismo».
Un giustizialismo che lei ha già duramente denunciato in riferimento al precedente Governo.
«In realtà il racconto degli ultimi venti anni del Paese è figlio del giustizialismo della sinistra italiana. A questo si è poi aggiunta la demagogia di marca populista che ha smontato pezzo pezzo tutte le forme della democrazia. Il giustizialismo e la demagogia populista oggi hanno impedito che l’unica riforma garantista del ministero Orlando (quella sull’ordinamento penitenziario, ndr) entrasse in vigore. E’ stata azzerata in nome della piazza».
Il nuovo Governo ha già chiarito che quella riforma non verrà ripresa. Anzi, si va nella direzione opposta: la ricetta è più carceri, il che lascia pensare anche ad una stretta sulla detenzione.
«Purtroppo la giustizia populista non si rende conto che il punto di partenza di un Paese civile per abbassare la recidiva non è l’inasprimento delle pene, ma un sistema di rieducazione e di reinserimento dei detenuti. E questo sistema di recupero in Italia non funziona. Nel carcere di Poggioreale ci sono più di 2mila detenuti, ma solo 200 di questi partecipano concretamente a programmi di rieducazione. Questo significa che c’è una fortissima zona di esclusione».
La cosa singolare è che a farsi portavoce di riforme che vanno contro il garantismo è un avvocato.
«L’altro giorno ho ascoltato l’intervista che Bonafede ha rilasciato alla trasmissione Piazza Pulita. Il ministro ha parlato di Giustizia come io potrei parlare di numismatica. La verità è che una professionalità non la fa solo un titolo di studio».
Sembra di assistere ad un ribaltamento di ruoli e di principi.
«Pensiamo alla nomina di Conte. Secondo quanto si racconta, è diventato premier su indicazione di Bonafade. Assistiamo quindi al caso di uno studente che coopta il professore. E’ la fotografia plastica che siamo davanti a un ribaltamento nella selezione della classe dirigente. Non è più la classe dirigente a formare l’opinione pubblica, ma è il senso comune che si è impadronito della classe dirigente. E questo provoca una distorsione anche del concetto di democrazia. Così accade anche che le elite siano raccontate come casta e il compromesso come inciucio. Nella morale comune non c’è più l’idea del compromesso nobile».
Praticamente un mondo in bianco e nero.
«C’è una semplificazione a tutti i livelli in nome di una democrazia perfetta che è strutturalmente una menzogna. La generazione dei nostri padri accettava l’imperfezione della democrazia e anche di fronte a certi suoi compromessi non onorevoli non metteva in discussione la sua sostanza. E’ chiaro che se, invece, idealizzi una democrazia perfetta e censuri ogni dissonanza, tu costruisci un’opinione pubblica di immaturi, che cercano semplificazioni. Che raccontano la democrazia in bianco e nero, mentre la democrazia nasce dalla necessità di raccontare i grigi».
domenica, 10 Giugno 2018 - 21:03
© RIPRODUZIONE RISERVATA