Crollo del palazzo a Rampa Nunziante, a luglio la prima udienza preliminare L’amministratore chiede l’immediato

di Dario Striano

Falsi in atto pubblico, lavori abusivi, errori strutturali, negligenze, ed omissioni. Sono i punti centrali della richiesta di rinvio a giudizio avanzata dalla procura di Torre Annunziata nei confronti di 16 persone tra tecnici e inquilini della palazzina di sei piani alla Rampa Nunziante, il cui crollo – avvenuto il 7 luglio dello scorso anno – è costato la vita ad 8 persone, tra cui 2 bambini. Una strage di cui oggi devono rispondere, a seconda dei propri ruoli, sedici persone che il prossimo 2 luglio dovranno comparire dinanzi al giudice per le udienze preliminari del tribunale oplontino, Maria Concetta Criscuolo.

Il giudizio immediato
Anzi, 15 persone  perché nel frattempo Roberto Cuomo, l’amministratore del condominio crollato, tramite una istanza presentata ieri mattina dai suoi legali, Enzo Maiello ed Elio D’Aquino, ha chiesto di essere giudicato con rito immediato (procedimento penale che si caratterizza per la mancanza, proprio, dell’udienza preliminare). L’avvocato penalista e amministratore di condominio, secondo la procura oplontina, avrebbe «omesso di verificare la portata del cantiere e quindi di adottare i necessari provvedimenti per tutelare l’incolumità dei condomini», «nonostante fosse stato messo a conoscenza dell’illegittimità dei lavori da alcuni condomini», lamentatisi per «il martello automatico azionato per diverse ore del giorno». Accuse che il noto penalista ha sempre rigettato, tant’è che «la richiesta di voler procedere immediatamente al giudizio – spiegano i suoi legali – si colloca proprio nella volontà di definire in tempi ragionevolmente rapidi il contenzioso giudiziario».

L’udienza e le indagini
A tempo record, dunque, la procura della Repubblica di Torre Annunziata, guidata dal procuratore Alessandro Pennasilico, non solo ha chiuso le complesse indagini – migliaia di carte, supportate da consulenze tecniche dettagliate – ma ha anche ottenuto la data dell’udienza preliminare prevista per il prossimo 2 luglio. Nell’avviso di conclusione indagini di aprile scorso, firmato proprio dal procuratore Alessandro Pennasilico e corredato da una perizia firmata dai professori Nicola Augenti e Andrea Prota, emergono tutti i disastri che hanno portato al crollo del palazzo. Un palazzo che non sarebbe neppure dovuto esistere: la licenza a costruire prevedeva, infatti, la realizzazione di una semplice villetta bifamiliare a due piani. La causa principale del crollo – secondo i magistrati oplontini – però è stata individuata dai due periti nei lavori di manutenzione del secondo piano che avrebbero causato «lo schiacciamento dei maschi murari che costituivano il muro perimetrale» frontale alla ferrovia. Già, perché la demolizione dei tramezzi divisori avrebbe «sovraccaricato parte della muratura portante, indebolendola, minandone l’integrità» e privandola dunque «in più punti delle pietre di tufo».

Il palazzo della morte doveva essere una villetta
Non solo lavori compiuti male. Dalla fotografia dell’inchiesta emerge anche «un allarmante quadro in ordine alle falsità ideologiche commesse dai proprietari – vecchi e nuovi – degli appartamenti» per attestare non solo «la legittimità dei lavori da effettuarsi», ma anche la sola presenza della palazzina. Sì, perché quell’edificio di sei piani rovinato al suolo lo scorso luglio doveva essere tutt’altro. Doveva essere una villetta bifamiliare, composta da «una piccola rimessa padronale, un piano rialzato con 2 vani accessori e da un piano superiore con 4 vani». «Un edificio», insomma, «completamente diverso da quello realizzato», come scrive il sostituto procuratore Silvio Pavia, secondo l’ultima licenza edilizia rilasciata nel lontano 1957. I vecchi proprietari degli appartamenti avrebbero dunque con atti falsi – presenti «nel contratto preliminare di vendita e in quello definitivo del 2015» – attestato che l’intero fabbricato di 6 piani era stato realizzato in epoca antecedente al 1967 in conformità della normativa vigente, per vendere la palazzina ai nuovi titolari. Questi poi sempre, attraverso la «non corretta rappresentazione dello stato di fatto degli immobili», avrebbero indotto in errore il funzionario del catasto nelle variazioni catastali. Nel fare ciò i proprietari sarebbero stati aiutati dal professionista Massimiliano Bonzani – l’unico tra gli indagati ad essere sottoposto da misura interdittiva dalla sua professione – per accertare che il palazzo fosse conforme sul piano urbanistico. A sostegno della tesi della procura vi sarebbe l’esito di un controllo incrociato effettuato dall’Agenzia delle Entrate.

Le omissioni dei professionisti
Ma c’è di più. Perché a quegli errori strutturali si sarebbe potuto porre rimedio. O, meglio, per la procura oplontina, si sarebbero potute evitare le 8 morti se solo i professionisti, gli architetti Aniello Manzo e Giacomo Cuccurullo – tecnico comunale deceduto nel crollo – avessero segnalato «lo stato di dissesto evidente e di una situazione di pericolosità a loro nota, ai vigili del fuoco». E così alla richiesta di sgombero dell’immobile, i tecnici avrebbero preferito porre rimedio agli errori «con presidi di assicurazione chiaramente insufficienti». Perlopiù «isolati puntelli metallici e spallette di mattoni pieni». Come spegnere un incendio con un bicchiere d’acqua. Una condotta simile a quella ipotizzata per l’avvocato Roberto Cuomo che, professandosi innocente ( «Non c’è nessuna verità – ha detto tramite i suoi legali – che può dirsi tale che non sia intimamente connessa ad un profondo senso di giustizia»), ha chiesto ieri il giudizio abbreviato.

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mercoledì, 20 Giugno 2018 - 20:23
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