E’ un noto e stimato avvocato penalista di Pavia, Maria Teresa Zampogna, oltre che il presidente dell’Osservatorio nazionale sui processi di criminalità organizzata dell’Unione delle Camere Penali Italiane. La mafia la conosce bene anche per aver difeso l’ex manager dell’Asl di Pavia, Carlo Chiriaco, condannato a 12 anni per concorso esterno in associazione mafiosa e, tra gli altri, il boss palermitano Salvatore Lo Piccolo e Carmine Valle, figlio del boss ‘don Ciccio’. E, probabilmente, è proprio per questo, per la conoscenza profonda che l’avvocato ha della materia, che la maggioranza Lega-Forza Italia che guida la Regione Lombardia ha fatto il nome di Zampogna per il comitato regionale antimafia. Una nomina che, però, ha suscitato le proteste del Movimento 5 Stelle. La consigliera grillina Monica Forte ha posto «un problema di opportunità: nel comitato – ha detto – devono entrare persone con esperienza nel contrasto alle mafie», come a sottintendere che Zampogna l’esperienza ce l’ha sì, ma nella difesa delle mafie. Come se un avvocato che difende un mafioso sia, per una sorta di estensione, esso stesso un mafioso. Sulla stessa scia David Gentili, presidente della commissione Antimafia del Comune di Milano. «Un avvocato di mafiosi contrasta la mafia? La conosce, questo sì. Attendo di sapere – ha aggiunto – se l’avvocato Zampogna abbia una riconosciuta esperienza anche nel contrasto alle mafie. Per ora la si conosce come avvocato di diversi mafiosi. E per ora ritengo sbagliata la sua nomina». A cercare di riportare un po’ d’ordine e criterio in quello che sembra essere un problema di conoscenza del Diritto, se non addirittura di qualunquismo, ci ha pensato la giunta dell’Unione delle Camere Penali Italiane. «Gli avvocati – hanno ribadito – difendono i diritti e le garanzie di tutti e non smetteranno mai di farlo. Difendono la cultura del garantismo, il che significa difendere i potenti e gli ultimi allo stesso modo, gli accusati di mafia e di ogni altro reato grave o lieve che sia, gli emarginati e gli integrati. Contro i luoghi comuni, che associano il difensore al loro assistito e la difesa dei diritti del singolo alla difesa del reato. Lo abbiamo fatto con i reati di mafia e di terrorismo, con i reati sessuali e di corruzione, convinti che questo sia il compito che ci attende per concorrere quotidianamente al consolidamento delle basi democratiche e liberali della nostra società». Piena solidarietà all’avvocato Zampogna «oggetto di attacchi da parte della politica per la recente nomina quale membro del Comitato tecnico scientifico in materia di contrasto e prevenzione dei fenomeni di criminalità organizzata e di stampo mafioso della Regione Lombardia». Attacchi che, per l’Unione, sono «il segno di questa cultura recessiva, divenuta incapace di riconoscere la forza costruttiva e progressiva dei diritti oramai visti invece come ostacoli alla imperante cultura del giustizialismo e del populismo, contro i quali continueremo a batterci con convinzione». Il difensore di un mafioso non è un mafioso, così come il difensore di un pedofilo non è un pedofilo. Né, nell’uno e nell’altro caso, l’avvocato giustifica o difende il reato di mafia o quello di pedofilia. L’avvocato, nell’assumere la difesa del mafioso, del pedofilo, così come del ladro o dell’assassino, non fa altro che assolvere a quanto prevede l’esercizio della sua professione, senza dimenticare che, secondo il nostro ordinamento, tutti hanno diritto ad essere difesi e che, nella deontologia forense, esiste per l’avvocato il dovere di difesa.
domenica, 5 Agosto 2018 - 14:00
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