La storia di Stefano Cucchi non è una storia come le altre. E’ ‘una storia sbagliata’, per dirla con Fabrizio De André. E’ la storia di un abuso di potere, di un omicidio commesso da chi, vestendo una divisa, aveva giurato di servire lo Stato e invece non ha esitato ad aggredire mortalmente un cittadino. È una storia scomoda, una di quelle che non si possono raccontare, perché ammettere l’esistenza di esponenti delle forze dell’ordine (per fortuna pochi rispetto al numero elevato di chi onora il giuramento di servire e tutelare i cittadini) che di quella divisa hanno fatto uno strumento di tracotanza e prepotenza oltre che di ingiustizia è qualcosa che non si può dire. Non a voce alta almeno. E invece, a Venezia, c’è chi questa storia l’ha gridata al mondo intero. E’ Alessio Cremonini, regista di ‘Sulla mia pelle’, film che racconta gli ultimi sette giorni di vita di Stefano Cucchi, la discesa negli inferi del geometra romano, arrestato dai carabinieri il 15 ottobre del 2009 con l’accusa di spaccio e morto il successivo 22 ottobre all’ospedale Sandro Pertini. E’ morto dopo essere stato brutalmente percosso durante la custodia cautelare. Il film, interpretato da Alessandro Borghi, è stato selezionato per l’apertura della sezione Orizzonti alla 75esima Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia. Una scelta forte quella della Biennale che, selezionando ‘Sulla mia pelle’ per la prima, ha voluto tenere aperta una finestra su una ferita ancora aperta e sanguinante per tutto il Paese. Perché a quasi dieci anni da quella morte, la giustizia non ha ancora fatto il suo corso. Dopo la celebrazione di un processo ‘sbagliato’ che vedeva imputati tre agenti della polizia penitenziaria accusati di aver pestato Cucchi nelle celle di sicurezza del tribunale all’indomani del suo arresto e poi definitivamente assolti dalla Cassazione, si sta stringendo il cerchio – tra intercettazioni e testimonianze, durissime ma chiare e sconvolgenti – intorno a cinque carabinieri, tre dei quali, Alessio Di Bernardo, Raffaele D’Alessandro e Francesco Tedesco, rispondono di omicidio preterintenzionale. Tedesco è accusato anche di falso e di calunnia insieme al maresciallo Roberto Mandolini, mentre il collega Vincenzo Nicolardi risponde solo di calunnia. Ancora in corso (la prossima udienza sarà celebrata il 29 ottobre) il terzo processo d’appello a carico dei medici del Pertini, dopo due annullamenti delle sentenze di assoluzione da parte della Cassazione, che ebbero in cura Cucchi. Anche se il reato loro contestato (l’omicidio colposo) è da tempo prescritto, la seconda Corte d’Assise d’Appello ha deciso di nominare un clinico medico in ambito ospedaliero per spiegare come si è arrivati alla morte di Cucchi. Una morte avvenuta dopo che, il giorno del suo arresto, il geometra romano fu pestato «con calci, pugni e schiaffi» che causarono «una rovinosa caduta con impatto al suolo della regione sacrale» e lesioni guaribili in almeno 180 giorni e in parte esiti permanenti che, «unitamente alla condotta omissiva dei sanitari che lo avevano in cura al Pertini», risultarono letali.
‘Sulla mia pelle’ ripercorre tutto il dramma di Stefano. Lo fa seguendo una scansione cronachistica degli eventi, senza risparmiare nulla della verità della vittima ma nemmeno delle torture che subì. E’ il frutto, come spiegato dal regista, dello studio meticoloso di verbali e testimonianze. Un film in cui tutto è documentato. Dal suo arresto alle prime ore del 22 ottobre quando morì al Pertini, «Stefano viene a contatto con 140 persone tra carabinieri, giudici, agenti di polizia penitenziaria, medici, infermieri e in pochi, pochissimi, hanno intuito il dramma che stava vivendo – ha sottolineato Cremonini – Di tutta la vicenda, le polemiche, i processi, è l’ovvia e penosa impossibilità di difendersi, di spiegarsi, da parte della vittima ad avermi toccato profondamente. Tutti possono parlare di lui, tranne lui. Ecco, il film, tra le varie cose, è un modo di battere, di opporsi alla più grande delle ingiustizie: il silenzio. Quasi a voler strappare Stefano alla drammatica fissità delle terribili foto che tutti noi conosciamo, che lo ritraggono morto sul lettino autoptico, e ridargli vita». Una vita finita nell’indifferenza e nell’irresponsabilità di chi, tanti, ha scelto di girarsi dall’altra parte. «A Stefano Cucchi – ha detto invece Borghi – tra le tante persone che ha incontrato nella sua tragica vicenda, nessuno ha mai dato davvero una mano, nessuno si è preso le sue responsabilità. Non ho dubbi che quello che gli è accaduto potrà accadere ancora». Sette minuti di applausi hanno accolto la proiezione del film nella sala Darsena del Lido di Venezia. Applausi e lacrime. Quelle di Ilaria Cucchi, la sorella di Stefano (interpretata da Jasmine Trinca) che in questi anni non ha mai smesso di lottare perché sulla vicenda sia fatta giustizia. «Guardando alcune scene di questo film – ha commentato – ho pensato alla tortura e a tutto quello che si è dovuto faticare per far approvare una legge contro la tortura, così come mi sono venute in mente le parole dell’attuale ministro Salvini che sostiene che il reato di tortura lega le mani alle forze dell’ordine e che se in qualche fermo ci scappano un po’ di botte, pazienza. Per questo, questo film lo dedico a lui e a tutti quelli che la pensano come lui. Questo film – ha aggiunto – secondo me è e sarà uno strumento importantissimo per restituire un’anima e una dignità a mio fratello e, anche attraverso di lui, per rappresentare una speranza per molti altri. Di questo film – ha concluso – secondo me si parlerà molto a lungo».
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venerdì, 31 Agosto 2018 - 12:12
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