Prescrizione, appello a Sergio Mattarella 
per salvare i diritti costituzionali: firmano 110 tra docenti universitari e avvocati

Mattarella
Il presidente della Repubblica Sergio Mattarella (foto Kontrolab)
di Federico Felici

Le firme sono 110. E i nomi e i cognomi che scorrono l’uno sotto l’altro sono quelli di docenti di Diritto penale, di Procedura penale, di Diritto Costituzionale e degli avvocati dell’Unione delle Camere penali italiane (il presidente Gian Domenico Caizza e la giunta).

Queste firme, autorevoli, chiudono un lungo e accorato appello inviato al presidente della Repubblica Sergio Mattarella, il garante della Costituzione, perché ci sono alcuni diritti pure sanciti dalla Carta costituzionale che sono stati calpestati dalla norma che ha inteso modifiche il regime della prescrizione dei reati. La richiesta è quella di «valutare i profili di incostituzionalità» della riforma (che prevede il blocco della prescrizione dopo la sentenza di primo grado, sia essa di condanna o di assoluzione), contenuta nel ‘ddl anticorruzione’ che proprio ieri è diventato legge con il via libera definito della Camera alla terza lettura. Un appello estremo, considerato che i rilievi sollevati anche al ministro della Giustizia Alfonso Bonafede non sono stati tenuti in considerazione.

In particolare i 110 firmatari dell’appello evidenziano quattro ‘nodi’ cruciali. Primo aspetto: la riforma si fa beffe della presunzione di innocenza (art. 27, comma secondo, Cost., art. 6/2 CEDU), anzitutto come regola di trattamento: «Considerare l’imputato – persino se assolto in primo grado – quale “eterno giudicabile”, assoggettato ad una pretesa punitiva priva di termini temporali e sostanzialmente illimitata altro non significa che trattarlo alla stregua di un “presunto colpevole”, così trasformando il principio in dubio pro reo nel principio, illiberale, in dubio pro republica», si legge nell’appello.

Secondo punto: la riforma rischia di ledere «il diritto di difesa, “inviolabile” ai sensi dell’art. 24, comma secondo, della Cosituzione» perché «a distanza di molto tempo le possibilità di difendersi provando, nel contradditorio delle parti, si contraggono significativamente, essendo difficile non solo raccogliere eventuali prove a discarico, ma persino ricostruire compiutamente e correttamente i fatti».

Terzo aspetto: la riforma inciderà sulla durata necessariamente limitata e ragionevole del processo (art. 111, secondo comma, Cost.; art. 6/1 CEDU), che già allo stato attuale è spesso e volentieri un miraggio. «La protrazione illimitata (del processo, ndr) implica una sofferenza tanto più intollerabile in un contesto ordinamentale, quale quello italiano, dove i tempi della giustizia penale sono irragionevolmente lunghi; e dove – in assenza di una disciplina della prescrizione del processo – la prescrizione sostanziale rappresenta l’unico, estremo presidio garantistico a tutela dell’individuo contro un “processo senza fine”».

Quarto e ultimo aspetto: la riforma confligge con la funzione rieducativa della pena (art. 27, comma terzo, Cost.) che «è profondamente compromessa – e negata in radice – da una sanzione che intervenga a notevole distanza di tempo rispetto al fatto commesso, quando l’autore “non è più la stessa persona”, e potrebbe non necessitare più di alcun trattamento rieducativo».

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mercoledì, 19 Dicembre 2018 - 15:45
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