Droga, la Consulta sana le anomalie:
«La pena minima di 8 anni per i reati
non lievi è sproporzionata»

Un sequestro di droga della Guardia di Finanza
di Renato Esposito

«Ti becco a spacciare, vai in galera. Non esiste modica quantità». Appena quattro giorni Matteo Salvini presentava con queste parole il nuovo disegno di legge sullo spaccio di droga promettendo un inasprimento delle pene. E’ notizia di oggi, però, che il vicepremier leghista potrebbe essere costretto a fare un passo indietro o, quantomeno, potrebbe necessitare di altre tempo per approntare una riforma che non sia a rischio ricorso alla Consulta.

La Corte Costituzionale ha infatti stabilito che «la pena minima di otto anni prevista per i reati non lievi in materia di stupefacenti è sproporzionata». La sentenza (numero 40) è stata depositata oggi e porta la firma della relatrice Marta Cartabia. Rimane inalterata la misura massima della pena, fissata dal legislatore in venti anni di reclusione applicabile ai fatti più gravi. Per la Consulta «costituisce un’anomalia sanzionatori» la differenza di ben quattro anni che passa tra il minimo della pena prevista per la fattispecie ordinaria (otto anni) e il massimo delle pena stabilito per quella di lieve entità (4 anni). Questa differenza, dice la Consulta, va «in contrasto con i principi di eguaglianza, proporzionalità, ragionevolezza (articolo 3 della Costituzione), oltre che con il principio della funzione rieducativa della pena (articolo 27 della Costituzione). In termini pratici per la Consulta la pena minima che bisogna prevedere è quella di sei anni.

La sentenza della Corte Costituzionale è intervenuta a fronte dell’immobilismo del legislatore, che pure era stato sollecitato a risanare la frattura che separa le pene per i fatti lievi e per i fatti non lievi. La Consulta aveva infatti formalmente invitato il legislatore a prendere provvedimenti con la sentenza n.179 del 2017 ma da allora sono passati quasi due anni e nulla è stato fatto. Tuttavia la Corte Costituzionale lascia al legislatore la possibilità di intervenire in futuro sulla materia: «La soluzione adottata non costituisce un’opzione costituzionalmente obbligata e quindi rimase possibile un diverso apprezzamento da parte del legislatore, nel rispetto del principio di proporzionalità».

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venerdì, 8 Marzo 2019 - 16:07
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