«Erano tutti consapevoli che io non sapevo niente. Ma dovevo portare questa croce… Mi hanno rovinato l’esistenza, io non ho mai fatto niente. Non c’entro con le stragi. I poliziotti mi dicevano cosa dovevo dire ai magistrati e me lo facevano ripetere». A parlare è Vincenzo Scarantino, l’ex collaboratore di giustizia che sta proseguendo la sua deposizione al processo sul depistaggio sulle indagini della strage di via D’Amelio. Sul banco degli imputati tre poliziotti, Mario Bo, Fabrizio Mattei e Michele Ribaudo, che facevano parte del Gruppi investigativo ‘Falcone e Borsellino’ guidato dall’allora capo della Squadra mobile Arnaldo La Barbera, deceduto nel 2002.
I tre sono accusati di concorso in calunnia aggravata dall’avere favorito Cosa nostra. «Io ero un ragazzo – dice ancora Scarantino, anche oggi coperto da un paravento per non farsi vedere – E se non combaciavano le cose che dovevo dire, loro mi dicevano di non preoccuparmi. Io andavo dei magistrati e ripetevo, quando ci riuscivo, quello che mi facevano studiare». Scarantino si riferisce al periodo del 1995, quando l’ex pentito si presentò per la prima volta davanti a una corte d’assise al processo per la strage di via D’Amelio. «Ma non sempre riuscivo a spiegare ai magistrati o alla corte quello che (i poliziotti ndr) mi insegnavano. Loro mi dicevano. ‘Quando non sai una cosa basta che dici ai magistrati che devi andare in bagno, tu ti allontani e poi ci pensiamo noi. Ti diciamo noi quello che devi dire. Quando andavo alle udienze dicevo che dovevo fare la pipì, andavo nella stanza e mi dicevano loro cosa dire. E io poi n aula cercavo di ripetere le cose che mi dicevano».
Poi, il Procuratore aggiunto di Caltanissetta, Gabriele Paci, che rappresenta l’accusa con il pm Stefano Luciani, gli chiede del periodo trascorso da Scarantino a Imperia dove viveva sotto protezione con la sua famiglia. «Veniva il dottor Bo con una carpetta – dice Scarantino – c’era Mattei che consegnava dei fogli e loro mi tranquillizzavano. Mi dicevano sempre di stare tranquillo ma la mia coscienza non mi permetteva di avere questa tranquillità che loro mi volevano trasmettere». E parla di «minacce psicologiche» che avrebbe subito da un altro poliziotto, Vincenzo Ricciardi. «Gli dissi che ero innocente, lui mi ha fatto questa minaccia psicologica che ero lontano da mia moglie e dai miei figli che, per me, erano la cosa più importante della mia vita e quando toccavano questo tasto io rischiavo di impazzire».
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venerdì, 17 Maggio 2019 - 11:01
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