Non è solo una storia di molestie, quella che una settimana fa si è consumata all’interno del Tribunale di Napoli e che si è conclusa con l’arresto, ai domiciliari, di un 32enne di Ponticelli per violenza sessuale ai danni di un’avvocatessa di 28 anni. Quanto accaduto davanti alla Camera penale è anche una storia di ingiustificata e ingiustificabile indifferenza.
L’indifferenza di chi è rimasto a guardare mentre la ragazza bloccava da sola il molestatore e gridava «Chiamate i carabinieri». L’indifferenza di chi, pur avendo capito solo più tardi cosa fosse accaduto, non ha fatto una telefonata per esprimere la vicinanza alla giovane professionista. L’indifferenza della categoria dell’avvocatura, con rare eccezioni ovviamente, che non ha preso posizione sull’accaduto immediatamente. I comunicati di solidarietà sono arrivati solo qualche giorno dopo l’episodio e solo perché la ragazza, delusa dal silenzio assordante dei rappresentanti di categoria e dai suoi colleghi, ha affidato a Facebook un post amaro per denunciare quell’assenza di soccorso, di vicinanza che una persona non dovrebbe mai far mancare a chi è in difficoltà; un post per denunciare quell’assenza di vicinanza che sarebbe dovuta essere più forte dal momento che l’increscioso episodio si è consumato in Tribunale, davanti alla Camera penale, e si è consumato ai danni di una collega di chi ritiene quei luoghi un po’ casa sua.
Solo dopo questo sfogo parte dei rappresentati di categoria degli avvocati si è mossa: l’Unione dei giovani penalisti ha prodotto un documento di solidarietà, il Consiglio dell’Ordine – che ha al suo interno un Comitato per le pari opportunità composto tutto da donne che non hanno fatto una sola telefonata alla 28enne – ha tenuto una riunione per discutere di quanto avvenuto. «Qualcosa si è mosso», osserva la 28enne. Ma a leggere l’espressione sul suo volto si vede che è ferita. Delusa. E non è difficile capire il perché. Ieri abbiamo parlato con lei per circa un’ora, a pochi passi dal luogo in cui si sono consumate le molestie. L’hanno avvicinata due persone soltanto per chiederle ‘Come stai?’: un carabiniere che è intervenuto al momento del fatto e poi un penalista, che non era presente quel giorno e che solo qualche giorno dopo ha dato un volto e un nome alla 28enne. «Mi sono sentita sola in un momento di difficoltà, in un momento che mai avrei pensato di potere vivere in un luogo come questo che sento come casa mia», ci racconta. «Mi sono sentita sola quando ho chiesto aiuto, quando sono andata a sporgere denuncia nell’ufficio dei carabinieri che è in Tribunale e nei giorni seguenti», aggiunge. Quando la 28enne ha raggiunto gli uffici dei militari dell’Arma, nessun avvocato – ad eccezione della sua amica-collega con la quale ha vissuto questa brutta storia – si è fatto avanti per accompagnarla. Eppure di avvocati, uomini soprattutto, richiamati dalle sue urla ce n’erano tanti. C’era pure un esponente del Consiglio dell’Ordine: «Si è limitato a salutarmi quando mi ha visto allontanarmi tra i poliziotti». E così agli atti della denuncia ci sono solo le voci della 28enne e della sua amica. Su Facebook, dove invece è facile diventare protagonisti, ci sono le voci di chi dice di essere intervenuto, di avere bloccato il 32enne per impedirne la fuga. Un racconto che però la 28enne smentisce. «Nessuno l’ha bloccato, perché lui non è scappato. Lui è rimasto lì, a guardarmi mentre io lo tenevo fermo a distanza e gridavo di chiamare i carabinieri», racconta.
La storia di molestie si è consumata nello spazio di pochi metri. E’ cominciata all’esterno della Camera penale, dove sono sistemate alcune panchine. L’avvocatessa e la collega sono sedute, con loro c’è un altro avvocato. Stanno chiacchierando, quando si avvicina il 32enne che non è un legale. Resta in piedi, a pochi passi di distanza. «Non gli abbiamo dato importanza, perché qui si formano tanti capannelli di avvocati. E’ un punto di riferimento e di ritrovo», ci dice la 28enne. Solo che quel 32enne inizia a fissare l’avvocatessa. Ma anche stavolta le due amiche non ci danno peso: «A un certo punto siamo rimaste sole, io e la mia collega, perché il nostro amico avvocato si è allontanato per andare in aula». Ed è quando l’amico se ne va, che il 32enne cambia atteggiamento. Si volta di spalle e inizia a masturbarsi. «A questo punto ci siamo accorte di quanto stava accadendo e ci siamo alzate per andarcene». La 28enne e l’amica si dirigono verso l’ingresso della Camera penale con l’intento di proseguire verso il bar. «Non ci siamo voltate a vedere cosa stesse facendo quell’uomo perché mai avremmo potuto pensare che ci seguisse». Invece il 32enne si muove e in pochi istanti la 28enne se lo sente addosso. «Ho sentito una parte del suo corpo appoggiato al lato sinistro del mio corpo e poi mi ha palpeggiato. A quel punto mi sono girata, con il braccio l’ho spinto per creare distanza e l’ho trattenuto. Ho gridato una prima volta: ‘Ma chi diavolo sei’. Poi ho urlato due volte: ‘Chiamate i carabinieri’. Lui è sempre rimasto lì, fermo». Solo a questo punto qualcuno si è avvicinato. «Non ricordo nemmeno chi si è avvicinato, ma saranno state un paio di persone. Non di più. Io avevo lo sguardo fisso solo su questa persona, ricordo che era anche ben vestito».
Da qui in poi è cronaca già nota. Il 32enne viene arrestato per violenza sessuale e posto agli arresti domiciliari. Da qui in poi è il racconto di un atteggiamento di ingiustificata e ingiustificabile indifferenza da parte dell’avvocatura, da parte di uomini e donne che erano presenti e non hanno mosso un dito per aiutare una collega in difficoltà. Da qui in poi è il racconto anche di persone che hanno reagito dicendo che in fondo si trattava di una mano morta, come se l’assenza di una violenza consumata sia meno grave, come se fosse normale camminare per strada o nel corridoio di un Tribunale e aspettarsi di essere palpeggiate e accettare in silenzio di essere toccate. E’ il racconto di persone che hanno tenuto a sottolineare che il 32enne è in cura perché ha problemi mentali, come se il fatto fosse tutto sommato giustificabile. E’ il racconto di persone che adesso provano a sminuire in maniera maldestra quel loro pesante disinteresse. Ma la verità è che, pur non sapendo di preciso cosa fosse accaduto, si sono girati tutti dall’altra parte quando la 28enne si è messa a gridare. «Una persona dopo mi ha avvicinato dicendomi che era lì ma che non era intervenuto perché pensava che fosse uno scherzo», ci dice. Già, perché capita spesso in un Tribunale e davanti a una Camera penale che un avvocato, non sapendo come ingannare il tempo, si metta ad urlare chiedendo di chiamare i carabinieri.
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venerdì, 14 Giugno 2019 - 13:59
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