L’inchiesta sul business della droga gestito dal clan Contini sotto la guida di Ettore Bosti e di Antonio Aieta supera, in larghissima parte, anche l’ultimo scoglio processo. Quello della Corte di Cassazione. La sentenza è stata resa nota nella giornata di sabato mattina. Il dispositivo ha però regalato qualche sorpresa: solo per tre i imputati il processo in Appello è da rifare ma bisognerà attendere le motivazioni del verdetto per capire quali indicazioni gli ‘ermellini’ daranno ai giudici della Corte d’Appello. Altri sei imputati, invece, dovranno tornare in Appello perché la Corte di Cassazione ha annullato la sentenza o limitatamente alla contestazione dell’aggravante della matrice camorristica o per procedere ad una mera rideterminazione della pena.
Ma andiamo con ordine, partendo proprio dalle condanne definitiva. Antonio Aieta, cognato del boss Eduardo Contini ‘o romano, dovrà scontare 20 anni di reclusione. Era lui, secondo la procura, a tenere i contatti con Felice Barra, l’imprenditore del settore floreale che in realtà era il broker che si occupava di rifornire la cosca di droga dall’Olanda. Barra, che si è visto confermare la condanna a 4 anni, era considerato dalla Dda una figura chiave. Al punto tale che in occasione del battesimo di sua glia, Antonio Aieta volle che Barra si sedesse al tavolo con la sua famiglia, affinché agli altri esponenti della cosca fosse chiara l’importanza dell’imprenditore per gli affari di famiglia.
Venti anni sono stati disposti anche per Antonio Grasso e Antonio Muscerino, storici affiliati ai Contini. Venti anni anche per Vincenzo Tolomelli classe 1957. Salvatore Botta, considerato il ‘cassiere’ del sodalizio, è stato condannato in via definitiva a 18 anni di reclusione. Giuseppe Tolomelli dovrà scontare 12 anni, come Gennaro Granieri. Dieci anni per Vincenzo Tolomelli classe 1987, Salvatore Comitato, Giovanni Esposito, Salvatore Merolla, Salvatore Percope; 6 anni per il ras della Torretta Rosario Piccirillo detto ‘ biondo (che era entrato in contatto coi Contini per il rifornimento della droga); 4 anni per Luciano Poggi e Giuseppe Schisano; 3 anni e 9 mesi per Gennaro Pelliccio. Per Muscerino, Pelliccio e Barra la Cassazione ha rimandato gli atti indietro solo rispetto alla confisca dei beni.
C’è stata, invece, una conferma parziale delle accuse per sei imputati: la Corte di Cassazione li ha rimandati indietro solo affinché si intervenga su specifiche contestazioni. Ettore Bosti, figlio del ras Patrizio e assurto alla guida del clan, si è visto annullare la sentenza limitatamente all’aggravante della matrice camorristica rispetto a due capi d’accusa, un’accusa di detenzione di droga e una di armi, ma si è visto confermare l’accusa principale di traffico di droga aggravata dalla matrice camorristica e dal ruolo di capo e promotore. Bosti era stato condannato a 20 anni; secondo la procura Bosti gestì un altro canale della droga (diverso da quello curato da Aieta) ed ebbe anche l’intuizione di aprire una piazza di spaccio in un vicoletto di via Foria nei pressi dell’Orto Botanico. Era il giugno del 2013. Il ras era appena uscito di galera dopo aver incassato l’assoluzione dall’omicidio di Ciro Fontanarosa (il 17enne ammazzato il 24 aprile del 2009) e non perse tempo per rimettersi in carreggiata. Pochi mesi e quella piazza fece il boom di clienti. «Uà, Ettore che ha fatto! Ha fatto un macello! Ora lo vanno a prendere tutti là!», commentò una persona mai identificata parlando con Gennaro Pelliccio (pr di quel punto vendita). Solo rispetto all’aggravante della matrice camorristica è stata annullata la sentenza per Gennaro Corrado (6 anni in Appello) e per il ras Antonio Cristiano (20 anni). Mariano Maresca si è visto annullare la sentenza ma solo per consentire la concessione delle attenuanti generiche, il che porterà ad un ricalcolo della pena. Sentenza annullata, ma solo per rideterminare la pena, per Francesco Schisano ed Emanuele Grasso.
Dovranno invece affrontare un nuovo processo Raffaele Guerriero (difeso dagli avvocati Leopoldo Perone e Antonio Rizzo), Salvatore Mariano (difeso dagli avvocati Andrea Imperato e Valerio Spigarelli) e Paolo Pepillo, che si sono visti annullare la condanna a 10 anni ciascuno inflitta dai giudici della Corte d’Appello di Napoli. Per loro ci sarà un nuovo processo che dovrà entrare nel merito delle accuse contestate dalla Direzione distrettuale antimafia. Accuse che gli avvocati hanno messo in discussione. Nel caso di Salvatore Mariano, ad esempio, gli avvocati Imperato e Spigarelli hanno messo in dubbio il riconoscimento di Salvatore Marano, evidenziando come non ci sia mai alcuna intercettazione diretta a suo carico ma il riconoscimento sia avvenuto solo per mezzo di un soprannome.
L’inchiesta sfociò in una raffica di arresti nel marzo del 2016 e rivelò come i Contini, per fronteggiare la crisi del racket delle estorsioni, dovettero lanciarsi nel settore della droga che non era mai stato uno dei fiori all’occhiello dei loro business. Emblematica una fase pronunciata dal broker Felice Barra, che fu intercettata dagli inquirenti: «Dopo venti anni – affermò l’uomo– si sono dovuti adeguare pure loro, hanno dovuto mettere pure loro la roba».
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lunedì, 24 Giugno 2019 - 09:09
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