Gli elementi che hanno spinto la procura ad accusare il boss Ciro Rinaldi di essere il mandante del duplice omicidio del boss della Sanità Raffaele Cepparulo e dell’innocente Ciro Colonna non sono granitici. Anzi, si prestano almeno a due diverse interpretazioni, quelle che hanno spinto un primo Riesame ad annullare la misura cautelare e quelle che hanno portato un’altra sezione del Riesame (su rinvio della Cassazione) a confermare la misura cautelare. E l’interpretazione non consente di superare il principio secondo il quale la condanna va emessa ‘al di là di ogni ragionevole dubbio’. E’ con questa motivazione che oggi l’avvocato Raffaele Chiummariello ha chiesto l’assoluzione del boss di San Giovanni a Teduccio Ciro Rinaldi, detto ‘Mauè’, dall’accusa di duplice omicidio, aggravato dalla premeditazione, dall’uso delle armi e dall’aggravante della matrice camorristica, rispetto alla quale il pubblico ministero antimafia Antonella Fratello ha chiesto, un mese, la condanna all’ergastolo.
La discussione della difesa (Rinaldi è rappresentato anche dall’avvocato Salvatore Impradice) si è concentrato su elementi precisi: l’inchiesta poggia su intercettazioni ambientali, che erano state disposte nell’ambito di un altro procedimento relativo agli equilibri della criminalità organizzata di Ponticelli e guardava, in modo particolare, al ruolo dei De Luca Bossa. Nessuna delle intercettazioni, molte delle quali descrivono in maniera incontestabile la fase organizzativa dell’omicidio Cepparulo, riguarda direttamente Ciro Rinaldi. Per dirla più semplicemente, in nessuna delle intercettazioni si sente la voce di Ciro Rinaldi mentre si fa riferimento alla pianificazione dell’agguato che si è consumato il 7 giugno del 2016 in un circoletto ricreativo al Lotto 0, al piano terra dello stabile in cui abitava Anna De Luca Bossa (imputata). I riferimenti a Ciro Rinaldi li fanno terze persone, indicandolo col soprannome ‘Mauè’ e sostenendo di avere parlato con lui circa l’intenzione di eliminare Cepparulo. C’è poi un’altra conversazione in cui si parla delle armi da usare nel raid, in cui si fa riferimento allo ‘zio’. E lo ‘zio’ per gli inquirenti non è altri che Cepparulo. Ma per la difesa si tratta di una deduzione. Non è tutto: la difesa ha anche evidenziato come, nella ricostruzione accusatoria, l’omicidio venga addebitato a due gruppi, Ciro Rinaldi e le cosiddetti ‘pazzignane’. Questi gruppi, ha sottolineato la difesa, vengono considerati dalla Dda come entità autonome dal punto di vista criminale, ragion per cui, non essendo un unico clan, non si può neanche asserire che i ‘pazzignani’ abbiano agito necessariamente con il placet di Ciro Rinaldi. Terzo aspetto: la difesa ha rilevato come della pianificazione del raid si parlasse in intercettazioni risalenti ad aprile, quindi due mesi prima del famoso raid nella ’46’ (la zona dei Rinaldi) che per la procura avrebbe spinto Rinaldi a fare fronte comune con i ‘pazzignani’ guidati a Michele Minichini per eliminare Cepparulo.
In conclusione la difesa ha spiegato che rispetto agli elementi probatori non vi è certezza circa la responsabilità di Ciro Rinaldi. Di qui la richiesta di assoluzione. Sul banco degli imputati oltre a Rinaldi vi sono altri sette imputati, per i quali il pm ha chiesto la condanna all’ergastolo. Di questi sette imputati hanno ammesso l’addebito Michele Minichini (mediante una lettera indirizzata alla famiglia di Ciro Colonna), Anna De Luca Bossa, Luisa De Stefano e Vincenza Maione. Nessuna ammissione degli addebiti è invece arrivata da Antonio Rivieccio, che sparò a Ciro Colonna (Minichini uccise Cepparulo), da Cira Cipollaro, Giulio Ceglie e appunto Ciro Rinaldi. La sentenza è attesa a metà dicembre. Il processo si sta svolgendo dinanzi al gip Romano del Tribunale di Napoli con la modalità del rito abbreviato.
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lunedì, 24 Giugno 2019 - 14:31
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