Inchiesta sui Contini, avvocato indagato Pentiti e intercettazioni negli atti a suo carico, il gip replica: «No gravità indiziaria»

Procura Napoli
di Manuela Galletta

Quando nell’aprile del 2016 si è reso conto che due pentiti avevano reso pesanti accuse nei suoi confronti, l’avvocato Raffaele Chiummariello – difensore dei boss Eduardo Contini e Patrizio Bosti ma anche di altri esponenti storici della cosca del Vasto – ha fatto richiesta di essere interrogato. Per fornire la sua chiave di lettura dei fatti, per replicare a quelle dichiarazioni che erano state allegate agli atti di un’inchiesta per traffico di droga sul clan Contini che proprio pochi giorni fa è sfociata in una raffica di condanne definitiva, inclusa quella a 20 anni per Antonio Aieta, il cognato del boss Eduardo Contini.

Questa mattina lo studio dell’avvocato Raffaele Chiummariello è stato perquisito nelle stesse ore in cui si è consumato il maxi-blitz che ha portato all’arresto di oltre 100 persone, destinatarie della misura cautelare che reca in calce i nomi di 126 persone, per 89 delle quali è stato disposto il carcere mentre per altre 33 sono stati disposti i domiciliari. Il penalista del foro di Napoli è accusato di concorso esterno in associazione di stampo mafioso perché, secondo la procura, avrebbe fatto da tramite tra il boss Eduardo Contini, detenuto in regime di carcere duro, e i suoi referenti in libertà. Per questa contestazione la procura aveva chiesto una misura cautelare per il legale, ma il giudice per le indagini preliminari Roberto D’Auria della decima sezione penale del Tribunale di Napoli ha respinto la richiesta per carenza della gravità indiziaria. L’assunto della procura poggia principalmente sulle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia Giuseppe De Rosa e il figlio Teodoro, nonché sulle dichiarazioni del neo-pentito Pasquale Orefice, dichiarazioni puntellate da alcune immagini e da alcune intercettazioni avvenute durante i colloqui intercorsi in carcere tra l’avvocato Chiummariello ed Eduardo Contini. In sintesi i due De Rosa fanno riferimento al ruolo di ‘portavoce’ dell’avvocato Chiummariello, ma entrando nel merito dei loro racconto il gip D’Auria ha ravvisato evidenti «elementi di contrasto» che non consentono di ritenere raggiunta alcuna «evidenza». Giuseppe De Rosa, infatti, in prima battuta afferma di sapere – per sentito dire – che l’avvocato Chiummariello era l’ambasciatore di Contini ma poi precisa di non avere contezza diretta di ciò ed anzi sottolinea esplicitamente di non essere a conoscenza del fatto che l’avvocato abbia mai portato dal carcere imbasciate all’esterno del carcere da parte dei suoi assistiti detenuti. Teodoro De Rosa, che pure in passato è stato difeso dall’avvocato Chiummariello, dice invece di sapere che il penalista era il ‘messaggero’ del clan perché aveva acquisito queste notizie in famiglia essendo il figlio di Giuseppe De Rosa. Ma De Rosa padre, come già evidenziato, ha reso dichiarazioni discordanti.

Anche sul contenuto delle dichiarazioni rese da Pasquale Orefice il 19 agosto del 2018, il giudice D’Auria esprime pesanti riserve: Orefice, che dice di avere fatto parte del clan sino al gennaio 2017, spiega di sapere – sempre da terze persone – che l’avvocato faceva da anello di collegamento con il boss Contini e si dice anche certo di riconoscere in foto il penalista. Ma il punto è che Orefice sbaglia per ben due volte il riconoscimento: una prima volta identifica una persona ritenuta vicina al clan come l’avvocato Chiummariello e una seconda volta, vedendo la foto del penalista, dice di non sapere chi sia.

Il gip si è poi soffermato sugli elementi ‘esterni’ raccolti dalla procura a riscontro delle dichiarazioni dei due pentiti, ossia le intercettazioni di alcuni colloqui tra il penalista e il boss Contini nonché un incontro che l’avvocato ha tenuto con due storici esponenti del clan, Antonio Muscerino e Francesco Metafora, in un negozio. In molte di queste intercettazioni, tra il legale e Contini intercorrono conversazioni di carattere professionale legate ad alcune cause riguardanti il boss del Vasto. Ma c’è anche spazio per qualche conversazione dalle quali sono emerse mezze parole, pronunciate solo con il labiale, che la procura ha ritenuto allarmanti: in una di questa conversazioni, di cui però si è riuscito a decifrare solo qualche passaggio, Contini fa riferimento alla possibilità di corrispondere un milione di euro ad un non meglio specificato magistrato della Cassazione affinché gli venisse tolto il 41bis.

Nell’informativa si fa riferimento, dunque, ad un evidente imbarazzo dell’avvocato Chiummariello rispetto a questa affermazione ma anche ad un occhiolino che il legale avrebbe strizzato al boss. Ad ogni modo, il gip analizza in questo modo tale circostanza: «Le varie intercettazioni raccolte nel corso degli anni, anche quelle effettuate durante i colloqui del Chiummariello con Eduardo Contini, non forniscono nessun apporto. Le stesse, rispetto all’addebito contestato, evidenziano al più delle ipotesi connesse specificamente al mandato difensivo (pur ipotizzando possibili condizionamenti corruttivi, rimasti peraltro, per quanto desumibile, allo stato delle mere ipotesi). Nel corso dell’ascolto di tali colloqui non sono state censite né da parte del Chiummariello né da parte di Contini, riferimenti a vicende, latu sensu, associative se non in un’ottica di espletamento del mandato defensionale». Resta, inoltre, da evidenziare come l’avvocato sia stato fatto oggetto di intercettazioni nel corso degli anni ma nessun elemento è mai emerso. La procura a tal proposito ritiene che l’assenza di dati sensibili sia la conseguenza della consapevolezza del legale di essere intercettato: in tre occasioni, a partire dal 2005, il penalista ha rinvenuto una microspia in macchina a seguito di guasti alla vettura provocati dalla batteria sempre bassa. Chiudono, infine, il capitolo sulla posizione del legale le dichiarazioni che il penalista ha reso in maniera del tutto spontaneo nell’aprile del 2016 quando ha scoperto l’esistenza dei verbali dei De Rosa in quanto allegati agli atti dell’inchiesta per droga dove il legale difendeva alcuni indagati. Il legale ha anzitutto smentito l’accusa di essere portavoce del boss e ha motivato anche il perché incontrò in strada Muscerino e Metafora anziché riceverli a studio: i due avevano subito un agguato al corso Meridionale e dunque avevano timore di poter di nuovo cadere vittima di un’imboscata, quindi il legale decise di dare loro appuntamento in luogo che lui avrebbe raggiunto essendogli di strada nel tornare a casa. Ma quell’incontro, ha spiegato il legale, era di natura professionale.

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mercoledì, 26 Giugno 2019 - 16:08
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