Napoli, omicidio fuori al carcere: ergastolo a 2 uomini dell’Alleanza di Secondigliano per il delitto di Gennaro De Roberto

Tribunale
di Gianmaria Roberti

Due ergastoli comminati dalla terza sezione della Corte d’assise di Napoli, per un cold case di camorra: l’assassinio di Gennaro De Roberto, ras del clan puteolano Bellofiore-Sebastiano, trucidato nel 1996 fuori al carcere di Secondigliano. La Corte presieduta da Lucia La Posta accoglie in toto le richieste del pm della Direzione distrettuale antimafia Gloria Sanseverino. Massimo della pena per gli imputati accusati di essere i killer di quel raid: Gennaro Trambarulo alias ‘o muntato oppure ‘o pazzo, e Francesco Avolio detto Tyson, per la somiglianza con il pugile.

Trambarulo – attualmente libero e difeso dagli avvocati Raffaele Chiummariello e Francesco Foreste – è ritenuto elemento apicale del clan Licciardi di Secondigliano. Di lui si ricorda l’arresto di due anni fa, dopo un inseguimento in autostrada, nell’ambito delle indagini sull’assassinio De Roberto. Ma anche la scarcerazione ordinata dal Riesame, nel giro di qualche settimana. Imputato in stato di libertà, per il vecchio agguato fuori al penitenziario, e indagato sempre libero per un altro delitto: quello di Aldo Autuori, consumato a Pontecagnano Faiano la sera del 25 agosto del 2015. Per quell’uccisione, il gip del tribunale di Salerno aveva negato l’arresto di ‘o muntato. E dopo avere presentato ricorso al Riesame, la Dda salernitana aveva rinunciato a promuovere l’istanza in udienza, con la conseguente pronuncia di inammissibilità. Dietro la morte dell’autotrasportatore 45enne di Pontecagnano, crivellato con nove colpi di pistola, ci sarebbe un patto tra l’Alleanza di Secondigliano, i Cesarano di Castellammare di Stabia e i reggenti del clan Pecoraro-Renna di Battipaglia. Ma un altro intreccio di decisioni favorevoli consente a Trambarulo di restare lontano dal carcere.

Avolio, assistito dagli avvocati Claudio Davino e Mauro Valentino, è invece considerato un sicario del clan Sacco-Bocchetti di San Pietro a Patierno: all’attivo ha già una condanna in primo grado per l’omicidio di Modestino Bosco, malavitoso di Secondigliano, in una vicenda datata 2006. A rivelare i presunti retroscena dell’agguato di 23 anni fa, i collaboratori di giustizia dei clan Licciardi e Sacco-Bocchetti. Verbali posti alla base della ricostruzione dell’anticamorra. Il 25 settembre 1996, il semilibero Gennaro De Roberto verrebbe freddato per un duplice movente. Il suo clan ne pretenderebbe la morte per il sospetto di un tradimento: la volontà di passare con gli acerrimi nemici Longobardi-Beneduce. Ma De Roberto pagherebbe pure le offese al figlio del capoclan Raffaele Bellofiore, durante una lite. Troppo ambizioso e in odor di cambiare casacca, insomma. Tanto basterebbe per decidere di eliminarlo, chiedendo il disbrigo agli alleati dell’Alleanza di Secondigliano. Secondo le indagini dei carabinieri di Castello di Cisterna, quel giorno “Tyson” guida la moto e Trambarulo apre il fuoco. Entrambi rispondono di concorso in omicidio aggravato dalle finalità mafiose, e di porto e detenzione illegale di arma da guerra. Perplessità, rispetto all’esito della sentenza, è stata espressa dall’avvocato Davino che annuncia ricorso in Appello.

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mercoledì, 10 Luglio 2019 - 21:47
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