Giuseppe Graviano continuerà a scontare la sua pena al 41 bis. La prima sezione penale della Cassazione ha bocciato il ricorso del boss mafioso contro la proroga del regime di carcere duro. Lo scorso ottobre, il tribunale di sorveglianza di Roma aveva convalidato il decreto del ministro della Giustizia per la prosecuzione della misura carceraria a cui il capomafia è sottoposto. Nulla da fare. La posizione di Graviano è di un tale rilievo da giustificare il 41 bis. «Nell’ambiente della criminalità mafiosa palermitana riconducibile al mandamento di Brancaccio, della quale aveva fatto parte con un ruolo egemonico, attestato dalle 26 sentenze di condanna riportate per numerosi reati» tra cui associazione a delinquere di stampo mafioso, strage, omicidio e sequestro di persona. Opposta la tesi sostenuta dal condannato. Nel ricorso, il boss ha messo in evidenza come la sua carcerazione da 25 anni «gli imponeva di ritenere definitivamente interrotti i collegamenti consortili» con la «criminalità mafiosa». Graviano, inoltre, ha chiesto alla Corte di di sollevare una questione di legittimità costituzionale relativa proprio al regime di 41 bis per «comportamenti inumani e degradanti», e, come tali «incompatibili sia con i principi costituzionali sia con le disposizioni della Convenzione europea dei diritti dell’uomo», citando due report del 2013 e del 2017 relativi alle visite del Comitato europeo per la prevenzione della tortura e delle pene.
I giudici del ‘Palazzaccio’ hanno rigettato il ricorso: «gli esiti dei processi penali celebrati nel corso degli anni, riguardanti gli affiliati del mandamento mafioso di Brancaccio imponevano di ritenere immutata la capacità di condizionamento criminale del territorio della consorteria palermitana e persistenti i collegamenti tra il ricorrente, i suoi familiari e gli attuali vertici dello stesso sodalizio», scrivono i togati. Inoltre, Graviano non ha mostrato «alcun atteggiamento di resipiscenza rispetto al suo vissuto criminale». Anzi, ha assunto un «atteggiamento ostile o comunque scarsamente collaborativo nei confronti dell’autorità penitenziaria». Per questo, continua la Cassazione, «non può rilevare in senso favorevole a Graviano il periodo di detenzione ultraventennale patito». Quanto alla questione di legittimità sul 41 bis, la Suprema Corte, ricordando l’orientamento giurisprudenziale già consolidato, ha definito «manifestamente infondate» le censure contenute nel ricorso ed «eccentrici» i richiami ai report delle visite del Comitato europeo.
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venerdì, 19 Luglio 2019 - 17:35
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