Caserta, l’«ospedale dei misteri»: il filo rosso che unisce l’inchiesta sulle tangenti alla latitanza del boss Pasquale Scotti

Nel riquadro il boss Pasquale Scotti, rimasto latitante per 31 anni
di Gianmaria Roberti

C’è un filo rosso lungo quasi 35 anni, tra la notte di Natale 1984 e l’alba del 24 luglio 2019, all’ospedale di Caserta. La prima data coincide con la misteriosa fuga dal presidio di Pasquale Scotti, ex braccio destro di Raffaele Cutolo nella Nco. La seconda con gli arresti della sorella e del cognato di Scotti.

A vedere in lontananza quel filo rosso è il pm Ida Teresi, il magistrato della Dda di Napoli che dà la caccia a Pasqualino ‘o collier, primula rossa della camorra per 31 anni. Grazie ad una sua intuizione investigativa, ascoltando un’intercettazione, la polizia cattura Scotti in Brasile, il 26 maggio di quattro anni fa. Ma il pm Teresi coglie anche altro in quelle lunghe telefonate. Le cimici captano dialoghi tra i familiari del fantasma. A parlare sono la sorella Enza Scotti, titolare di un laboratorio, e il marito Angelo Costanzo, primario di patologia clinica al “Sant’Anna e San Sebastiano”. In una conversazione potrebbe esserci materiale d’interesse. Non roba di camorra, ma il sospetto di un’ordinaria storia di truffe nella sanità.

Gli ascolti passano quindi, per competenza, alla procura di Santa Maria Capua Vetere. E il lavoro degli inquirenti sammaritani sfocia nell’ordinanza di misura cautelare, eseguita ieri nei confronti di sei indagati. Costanzo e la moglie finiscono ai domiciliari, con accuse di associazione per delinquere e truffa. Ai due si contesta di aver utilizzato l’ospedale come fosse cosa loro, caricando sulla struttura pubblica le analisi del centro privato. È un cerchio che si chiude. Angelo Costanzo lavora all’ospedale di Caserta già nel 1984, quando il cognato camorrista viene trasferito lì, dal carcere di Campobasso. Il detenuto soffre di disturbi gastrici, e per i postumi di una ferita alla mano, rimediata nel blitz in cui l’arrestano a Caivano l’anno prima. Ma Scotti all’ospedale ci rimane poco, perché riesce a scappare, con un’evasione ancora indecifrabile. Nella fuga non viene provato alcun coinvolgimento di Costanzo. Ma informative della polizia, negli anni ’80, ricordano i pareri negativi all’invio di Scotti al Sant’Anna e San Sebastiano. Il motivo è proprio di opportunità, per la presenza del parente. Allarmi provenienti dai capi delle squadre mobili di Napoli e Caserta, Franco Malvano e Luigi De Stefano, e non solo. A suonare l’allerta, anche qualche collaboratore di giustizia. Ma in quel momento Scotti è un pentito, e sui timori si decide di sorvolare.

Invece, puntualmente il boss 26enne svanisce nel nulla, nonostante il piantone dei carabinieri. Nella versione ufficiale, i complici segano le sbarre, e lui scivola al piano inferiore, grazie ad una corda, benché ferito. Da quell’istante, per 31 anni Pasquale Scotti è un morto. E una volta acciuffato, quando ormai si credeva dimenticato, gioca ancora la carta della collaborazione. Come nel preistorico 1983. Eppure, anche da aspirante pentito, nulla dice sulla notte dell’evasione. Nessuna parola sul cognato, divenuto intanto primario, o sulla sorella. Zero frasi pure su chi doveva sorvegliarlo. Il secondo pentimento di Scotti, però, non convince i pm anticamorra. E il programma di protezione viene revocato. Il romanzo criminale si interrompe lì. Ma è solo fino ad un mattino di luglio, quando si apre un altro capitolo giudiziario. Però, almeno in questo, l’ex boss non c’entra.

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giovedì, 25 Luglio 2019 - 13:35
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