Parlare di diritti dei detenuti o di indagati arrestati è sempre faticoso, ché un accusato o un colpevole acclarato è istintivamente considerato uno scarto della società. Un guasto di cui liberarsi in fretta. Se poi l’accusato in questione ha commesso un crimine odioso, dinanzi al quale le corde dell’indifferenza non riescono a restare mute, allora il solo provare a ricordare che lo Stato democratico tutela anche i diritti del reo diventa motivo di insulti, di reazioni rabbiose. Emozionali.
E’ quanto accaduto nella difficile giornata di domenica quando gli organi di informazione hanno dato notizia di una foto che descrive un momento particolare e censurabile consumatosi all’interno di un ufficio dell’Arma dei carabinieri che ha arrestato due giovani americani per l’omicidio, brutale e ingiusto, del vicebrigadiere Mario Cerciello Rega. Quello scatto riproduce uno dei due americani (in stato di fermo) seduto su una sedia al centro della stanza, con le mani dietro la schiena e le manette ai polsi, ma soprattutto con una benda, forse una sciarpa, sopra gli occhi. Un’immagine sbagliata. Sbagliata non perché così impone di dire il buonismo (termine abusato e impropriamente chiamato in causa da chi si ostina a non capire che quello scatto racconta una stortura dello Stato di diritto) o il garantismo, anche questo termine sempre più abusato e strumentalizzato (al pari del giustizialismo). Quell’immagine è sbagliata semplicemente perché racconta la violazione di una regola dello Stato democratico. Ammettere razionalmente e lucidamente che in quella foto si nasconda un ‘guasto’, non implica solidarietà umana verso il giovane indagato americano, né tantomeno svuota di gravità l’azione che l’americano è accusato di avere commesso; né soprattutto intacca il rispetto e la riconoscenza che ogni cittadino dovrebbe avere verso qualsiasi esponente delle forze dell’ordine.
Perché diventa necessario soffermarsi su questo aspetto? Perché il popolo social, nel ribellarsi a chi ha contestato quella foto e ciò che essa racconta, s’è lanciato in considerazioni emotive che hanno portato ad una sovrapposizione di piani e di concetti trasformatasi in pura confusione. Proviamo a riassumere il senso della maggioranza dei post: a chi provava a spiegare le ragioni della stortura di quella immagine, si è risposto con l’accusa che una tale presa di posizione calpestava la memoria di un carabiniere ucciso barbaramente; si è risposto, nei casi più estremi, che non c’è ragione alcuna di prendere in qualche modo le parti di una persona accusata di essersi macchiata di un omicidio così barbaro, quasi sostenendo che in fondo se l’è meritato; si è risposto, ancora, che l’indignazione deve riservarsi ad una morte ingiusta come quella di Mario Cerciello Rega e non a un assassino. Il ‘vizio’ di queste osservazioni è proprio quello di mettere in stretta correlazione le due storie. Il vizio di queste osservazioni è pensare che, a fronte della morte di un fedele servitore dello Stato, qualsiasi violazione dei principi di legge sia ammessa. E’ pensare che la denuncia per il trattamento riservato all’indagato negli uffici dell’Arma nasconda un’incomprensibile pietà verso chi è accusato di essere responsabile della morte di Mario Cerciello Rega. Ma la pietà, sentimento così nobile, con questa storia di denuncia non c’entra alcunché. Così come le ragioni del cuore nulla hanno a che fare con le ragioni del Diritto. Se i due piani si sovrapponessero, si confondessero, non staremmo qui a parlare di Stato di diritto, di Stato democratico. Si parlerebbe piuttosto di vendetta applicata alla Giustizia. E, allora, proviamo a spiegare, in maniera semplice e lontano dai tecnicismi, cosa prevede questo Stato democratico di cui molti sembrano disconoscere l’essenza. Lo Stato democratico prevede delle regole, che tutti i cittadini sono chiamati a rispettare affinché l’ordine della società civile sia mantenuto. Chi le viola commette un reato, di maggiore o minore entità a seconda delle condotte poste in essere.
Ebbene, la foto della ‘discordia’ racconta la violazione di una quelle regole fissate nel Codice di procedura penale, racconta la violazione di una Legge che prevede diritti e tutele anche per chi commette un crimine, racconta che un Servitore dello Stato ha violato quella stessa Legge in nome della quale è morto Mario Cerciello Rega. Peggio ancora quella foto nasconde anche un’altra insidia: la possibilità che condotte come quelle poste in essere a carico dell’americano possano reiterarsi e declinarsi in altre forme finendo con il diventare ‘sistema’. Ecco perché denunciare il guasto di quell’immagine non è uno scandalo (lo scandalo sarebbe fingere di non vedere), e non rende chi si portavoce dell’esistenza di una violazione palese meno insensibile o indifferente rispetto alla tragedia che ha colpito la famiglia di Mario Cerciello Rega o irrispettoso nei confronti degli appartamenti delle forze dell’ordine, il cui sacrificio quotidiano per la tutela della vita altrui non è certo messo in discussione in toto. Magistrati, carabinieri, polizia, finanzieri sono chiamati ogni giorno ad essere garanti della legalità. Sono chiamati ad uno sforzo umano ed emotivo più alto di quello di un normale cittadino: sono chiamati a mettere da parte reazioni emotive di rabbia e di vendetta, umanamente comprensibili, per lasciare posto alle fredde e distaccate ragioni del Diritto. Solo così è possibile marcare la differenza tra lo Stato di diritto e chi lo mette in discussione.
La testimonianza di un ex magistrato, Pietro Grasso, spiega bene questo concetto: «Quando arrestammo Bernardo Provenzano, o quando interrogai Giovanni Brusca, mi trovai davanti uomini che avevano commesso le stragi, fatto uccidere colleghi e amici, progettato il mio omicidio e il rapimento di mio figlio. Potete immaginare il mio stato d’animo. Ho sempre avuto chiaro però quale fosse il mio ruolo: quello di rappresentante dello Stato. A Provenzano, catturato dopo 43 anni di latitanza, la prima cosa che chiesi fu: ‘Ha bisogno di qualcosa?’. Rispose che aveva bisogno di una iniezione per curare la sua malattia e, rapidamente, troviamo il modo di fargliela. Gli dimostrammo la differenza tra noi e loro: non ci abbassa mai al livello dei criminali che si combattono, non ci sono e non devono esserci eccezioni. Questo significa essere uomini e donne al servizio dello Stato».
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martedì, 30 Luglio 2019 - 19:27
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