Anche la mensa, a scuola, è un momento di «sviluppo della personalità» degli alunni. Mentre il panino da casa no. Le diversità devono essere valorizzate, «nei limiti di compatibilità», con gli interessi degli altri alunni e della comunità, mediante regole di comportamento inderogabili che includano reciproco rispetto, condivisione e tolleranza. Lo stabilisce la Cassazione a Sezioni Unite. Gli ermellini hanno accolto il ricorso del Comune di Torino, ribaltando una pronuncia favorevole ai genitori degli alunni che preferivano il pasto portato da casa alla mensa.
Il contenzioso tra l’amministrazione torinese, il Miur e un nutrito gruppo genitori, in primo grado, aveva dato ragione ai primi due. Il verdetto è stato poi stravolto dalla Corte d’Appello che ha accolto le doglianze di padri e madri. Ma il Comune non si è arreso, impugnando la sentenza che è arrivata davanti alle Sezioni Unite. Ebbene, il Palazzaccio ha scritto la parola definitiva. La scuola non è il luogo in cui si esercitano «liberamente i diritti individuali degli alunni» né il rapporto con l’utenza è semplicemente «negoziale». Inoltre, sottolineato i togati, gli stessi genitori sono tenuti, nei confronti dei “colleghi” a «doveri di solidarietà sociale, oltre che economica».
Dunque, per la Suprema Corte, «un diritto soggettivo e incondizionato all’autorefezione individuale, nell’orario della mensa e nei locali scolastici, non è configurabile» né tantomeno è possibile rivolgersi al giudice per «influire sulle scelte riguardanti le modalità di gestione del servizio mensa, rimesse all’autonomia organizzativa» delle scuole. Decisione presa piuttosto male dai genitori che hanno portato avanti la battaglia. Sulla pagina Facebook “CaroMensa a Torino”, infatti, si legge: «La Cassazione a Sezioni Unite ha deciso: la scuola dell’obbligo gratuita da Costituzione è da buttare nel cesso, d’ora in avanti o paghi la minestra o salti la finestra (sempre che non ti portino via la casa per morosità)».
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martedì, 30 Luglio 2019 - 15:52
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