Tutti condannati all’ergastolo, inclusi i quattro imputati che, a processo ormai avviato, hanno ammesso le proprie responsabilità ancorandovi la richiesta di concessione delle attenuanti generiche e dunque una pena a 30 anni.
Per l’omicidio del 19enne Ciro Colonna, vittima innocente della camorra, e del boss della Sanità Raffaele Cepparulo detto ‘Ultimo’ (a capo dei ‘barbudos’, ossia degli Esposito-Genidoni), il giudice per le indagini preliminari Luana Romano del Tribunale di Napoli ha disposto il carcere a vita per il boss di San Giovanni a Teduccio Ciro Rinaldi (accusato di essere il mandante), Michele Minichini (figlio del ras detenuto Ciro e figliastro di Anna De Luca Bossa; esecutore materiale), Antonio Rivieccio (accusato di essere uno dei due killer), Anna De Luca Bossa (figlia della lady camorra Teresa; ha fatto la soffiata sulla presenza di Cepparulo nel luogo dove si consumò l’agguato), le ‘pazzignane’ Vincenza Maione e Luisa De Stefano, Cira Cipollaro e Giulio Ceglie. Accolte in toto le richieste avanzate dal pubblico ministero antimafia Antonella Fratello, che coordinò l’inchiesta e ha sostenuto l’accusa in giudizio. Gli imputati rispondevano di duplice omicidio con le aggravanti dell’uso illegale delle armi, della premeditazione e della matrice camorristica. La sentenza è stata letta intorno alle 4 di oggi pomeriggio. Presenti la sorella di Ciro Colonna (costituitasi parte civile insieme ai genitori), Sandro Ruotolo, Susy Cimminiello (sorella del tatuatore Gianluca Cimminiello, anche lui vittima innocente di camorra) e il padre di Genny Cesarano (il ragazzino ucciso a 17 anni per errore durante una stesa nel rione Sanità); la sorella di Ciro si è avvicinata al pm per ringraziarla. La famiglia Colonna è stata assistita al processo dall’avvocato Marco Campora. Nel processo si è costituito parte civile anche il Comune di Napoli.
L’innocente Ciro Colonna e il boss Raffaele Cepparulo vennero ammazzati nel pomeriggio del 7 giugno del 2016 all’interno di un circoletto ricreativo, gestito da Umberto De Luca Bossa, sito al piano dello stabile nel Lotto O a Ponticelli dove abitava Anna De Luca Bossa. Cepparulo, che si era rifugiato a Ponticelli per scappare dalla Sanità dove era in corso la guerra tra il suo clan e i Vastarella, finì nel mirino dei Rinaldi-Minichini perché s’era responsabile di alcuni raid intimidatori ai loro danni, raid commissionati dai Mazzarella ai quali Cepparulo si era avvicinato al momento del trasferimento nell’area a est di Napoli.
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le coscienze del Lotto 0 di Ponticelli
La ricostruzione dell’agguato è stata possibile grazie a numerose intercettazioni ambientali e telefoniche che era già attive, al momento del duplice omicidio, nell’ambito di un altro procedimento che mirava a fare sugli equilibri criminali di Ponticelli. E’ così che gli inquirenti hanno potuto stabilire il momento esatto nel quale si decise di uccidere ‘Ultimo’, ed hanno potuto catturare le reazioni al delitto. Minichini, ad esempio, fu uno di quelli che più di tutti si batté per uccidere Cepparulo: «Dobbiamo buttare a terra il capo di ‘Ultimo’», disse in una delle intercettazioni. E, alla fine, fu proprio lui a sparare al boss.
Quel pomeriggio i due killer fecero irruzione nel circoletto entrando l’uno dal retro e l’altro dall’ingresso principale. Minichini, che entrò da dietro, freddò Raffaele Cepparulo. Rivieccio, invece, sparò a Ciro Colonna: il 19enne si chinò per raccogliere gli occhiali ricevuti in regalo dalla sorella e, forse, Rivieccio si impressionò sparandogli a bruciapelo. A fronte del materiale indiziario corposo, nel corso del processo sono intervenute le ammissioni degli addebiti da parte di Michele Minichini (che ha inviato una lettera ai familiari di Ciro Colonna), Anna De Luca Bossa, Vincenza Maione e Luisa Di Stefano. Non hanno, invece, confessato Ciro Rinaldi, Giulio Ceglie e Antonio Rivieccio. Per Rinaldi, in particolare, la difesa (rappresentata dagli avvocati Raffaele Chiummariello e Salvatore Impradice) aveva chiesto l’assoluzione ritenendo che non vi fossero elementi probatori forti nei confronti dell’imputato: la voce di Rinaldi, è stata una delle argomentazioni difensive, non è stata mai ascoltata dagli inquirenti in riferimento all’agguato; né altri imputati hanno fatto riferimento in maniera diretta a Rinaldi.
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mercoledì, 18 Settembre 2019 - 16:10
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