Cinque giorni di astensione dalle udienze per protestare contro l’ormai imminente entrata in vigore della riforma che blocca il decorso della prescrizione subito dopo la sentenza di primo grado, sia essa di condanna che di assoluzione.
La Giunta dell’Unione delle Camere penali italiane, che già venerdì scorso aveva ribadito una «lotta dura» (per dirla con le parole del presidente dei penalisti Gian Domenico Caiazza) qualora non si fosse bloccata quella riforma, ha deliberato lo sciopero a partire dal 21 ottobre e sino al 25 ottobre, invitando «tutte le Camere Penali territoriali ad organizzare in quella settimana una serrata serie di iniziative politiche volte ad informare la pubblica opinione delle ragioni della nostra protesta, ed a coinvolgere nel dibattito e nel confronto le forze politiche, le altre associazioni dell’avvocatura, la magistratura, l’Università, gli esponenti della cultura e della società civile, e tutti coloro che intendono impedire l’affermarsi nel nostro Paese della idea incivile ed incostituzionale dell’“imputato a vita”». Per l’Ucpi è, infatti, essenziale «produrre il massimo sforzo perché l’opinione pubblica del nostro Paese sia debitamente informata della reale, devastante portata di una simile riforma per i diritti fondamentali di ciascuno di noi, rompendo le cortine fumogene della disinformazione populista e giustizialista che, richiamando strumentalmente alcune vicende processuali di grande interesse pubblico, rappresenta l’istituto della prescrizione come uno strumento privilegiato dei potenti e dei ricchi per sottrarsi ai rigori della legge».
Ciò che per l’Ucpi è fondamentale è spiegare all’opinione pubblica «che la prescrizione del reato rappresenta l’irrinunciabile rimedio alla patologia di indagini e processi che durano decenni. Se uno Stato non è in grado di definire un giudizio penale in dodici, quindici, venti, ventidue anni, la rinunzia al giudizio costituisce un dovere etico e giuridico in una società che voglia dirsi civile, alla quale ripugna l’idea che un cittadino possa essere tenuto al laccio di un giudizio penale per un tempo infinito, senza alcun rimedio ad un simile scempio».
Per questa ragione l’Ucpi afferma con durezza che «quella riforma rappresenta una delle pagine più sciagurate della deriva populista e giustizialista del nostro Paese, giacché essa afferma il principio, manifestamente incostituzionale, secondo il quale il cittadino, sia esso imputato che parte offesa del reato, possa e debba restare in balia della giustizia penale per un tempo indefinito, cioè fino a quando lo Stato non sarà in grado di celebrare definitivamente il processo che lo riguarda», viene ribadito nella delibera con la quale è stato proclamato lo sciopero. L’Ucpi ricorda anche che la posizione è condivisa anche dall’intera comunità dei giuristi italiani: «Oltre 150 docenti di diritto penale, processuale e costituzionale, e finanche Presidenti Emeriti della Consulta, hanno sottoscritto il nostro appello con il quale evidenziavamo al Presidente della Repubblica, al momento della promulgazione di quella legge di riforma, i plurimi profili di incostituzionalità».
Non solo: «E’ chiaro a tutti, ivi compresa la Associazione Nazionale Magistrati ed il Consiglio Superiore della Magistratura nelle loro inequivoche statuizioni sul punto, che l’entrata a regime di un simile, aberrante principio determinerebbe un disastroso allungamento dei tempi dei processi, soprattutto a partire dal grado di Appello, giacché verrebbe a mancare la sola ragione che oggi ne sollecita la celebrazione. Si tratta insomma di quella famosa “bomba atomica” cui l’allora Ministro Giulia Bongiorno paragonò la potenza devastatrice di una simile riforma (che purtuttavia aveva firmato e votato)».
Nella delibera, infine, l’Ucpi torna a porre l’accento sull’approccio che il Pd, una volta salito al governo coi Cinque Stelle, sta avendo nei confronti della riforma della prescrizione: «Le dichiarazioni degli esponenti del Partito Democratico, nuovo partner di Governo, hanno formulato, sul punto, riserve assai blande, indeterminate nei contenuti e non di rado contraddittorie».
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lunedì, 30 Settembre 2019 - 15:25
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