Romanò, ucciso per errore dai Di Lauro: sentenza rinviata per il boss Marco. La sorella: «Non cerchiamo vendetta»

Attilio Romanò
Attilio Romanò, vittima innocente della camorra
di Gianmaria Roberti

Omicidio dell’innocente Attilio Romanò, slitta di 7 giorni la sentenza d’appello bis che era attesa per oggi. A determinare il rinvio al 30 ottobre, la controreplica del sostituto procuratore generale Carmine Esposito, dopo le arringhe dei difensori del boss Marco Di Lauro.

Sulla sfondo dell’omicidio Romanò, durante la prima faida di Scampia e Secondigliano, il duello accusa-difesa sulla credibilità dei due teste chiave, i pentiti Antonio Accurso e Gennaro Puzella. Un duello a suon di sentenze passate in giudicato. In primo piano i due collaboratori, chiamati dalla procura generale a deporre nelle scorse settimane, con un colpo di scena annunciato l’estate scorsa. I difensori dell’unico imputato, Gennaro Pecoraro e Sergio Cola, ne hanno messo nel mirino l’attendibilità. Agli atti del processo, depositate due sentenze, relative al processo per l’omicidio di Nunzio Cangiano nel 2007. Una è la pronuncia d’appello, che assolve Marco Di Lauro dall’accusa di essere il mandante. L’altra è quella della Cassazione, con cui si dichiara inammissibile il ricorso della procura generale di Napoli, contro l’assoluzione. L’omicidio Cangiano è uno degli episodi più brutali della seconda faida di Scampia: la vittima era passata con gli Amato-Pagano. Per quel tradimento Marco Di Lauro – all’epoca inafferrabile latitante – era accusato di averne ordinato l’eliminazione.

Il raid mortale fu consumato al Magic World di Licola, l’11 agosto 2007, davanti a moglie e figlio di 8 anni della vittima. Ma i giudici della IV sezione della Corte d’Assise d’Appello di Napoli (presidente Domenico Zeuli) hanno ritenuto non colpevole Marco Di Lauro. Dettaglio su cui oggi insiste la difesa: uno dei pentiti a tirare in ballo Di Lauro jr, era proprio Gennaro Puzella, che lo chiama in causa pure per l’omicidio Romanò. Alla mossa dei difensori, si accinge a rispondere il pg Esposito. Nella prossima udienza, depositerà alcune sentenze in cui, viceversa, si confermerebbe l’attendibilità di Antonio Accurso e Puzella. In ogni caso, tra una settimana si aggiungerà un altro tassello, ad un quadro giudiziario assai tormentato. Si attende, infatti, da quasi 15 anni la verità su chi ordinò l’agguato in cui morì Attilio Romanò. Scambiato per il vero obiettivo dei sicari, il 24 gennaio 2005, il giovane fu freddato nel negozio di telefonini dove lavorava. Il killer Mario Buono (condannato in via definitiva all’ergastolo) scaricò contro di lui 5 colpi, destinati al nipote del boss scissionista Rosario Pariante. Condannato in primo e in secondo grado all’ergastolo, Marco Di Lauro si è visto cancellare la pena in Cassazione. La Suprema Corte ha quindi disposto un nuovo processo d’appello per l’ex superlatitante, acciuffato a marzo dopo 15 anni alla macchia.

Tra i due pentiti-accusatori, è Antonio Accurso ad avere narrato la vicenda in un momento successivo al rinvio della prima sentenza Romanò. Nei verbali, entrambi i collaboratori raccontano di un passaggio del testimone tra i fratelli Cosimo e Marco Di Lauro, durante la guerra con gli scissionisti. Alla cattura di Cosimo – avvenuta pochi giorni prima dell’omicidio nel negozio -, Marco ne avrebbe raccolto l’eredità. Un patto prevedeva di continuare la faida stragista. Secondo la ricostruzione, sarebbe duplice il movente del raid, sfociato nel tragico errore. Il primo, più evidente: manifestare la forza della cosca, nonostante l’arresto del reggente Cosimo. Il secondo rientrerebbe nella tattica per eludere le indagini. Ossia un’azione diversiva, ventilando che non fosse Cosimo Di Lauro a decidere le azioni di fuoco, o non solo lui, come al tempo si ipotizzava.

Ad assistere al processo, la madre e la sorella di Attilio Romanò, accompagnate dagli esponenti di Libera e del Coordinamento campano familiari vittime innocenti della camorra. Una presenza fissa ma discreta, da cui emergono parole significative. «Noi da sempre siamo state presenti a tutte le udienze perché – spiega la sorella Maria Romanò – abbiamo grande fiducia nella giustizia. Non cerchiamo vendetta, non vogliamo che per la morte di Attilio siano incriminate persone che non hanno colpa. Ci rimettiamo alla decisione di questo ulteriore processo, fiduciosi che la giustizia faccia il suo corso». Una prima certezza c’è già: la condanna definitiva all’ergastolo di Mario Buono, indicato come esecutore materiale.

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giovedì, 24 Ottobre 2019 - 19:30
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