Il rapporto Svimez sull’Economia e la Società del Mezzogiorno, presentato questa mattina alla Camera alla presenza del premier Giuseppe Conte, è un quadro a tinte fosche. Tanto che Conte mette con autentica preoccupazione che «la crisi occupazionale ha assunto un carattere di autentica emergenza nazionale», e «gli sforzi compiuti non hanno dato, evidentemente, le prospettive per rimediare a questa emergenza».
Le conseguenze del lavoro che non c’è sono drammatiche. La popolazione italiana ha smesso di crescere e il Sud, in modo particolare, sta pagando il prezzo più alto. Dall’inizio del secolo a oggi la popolazione meridionale è cresciuta di soli 81 mila abitanti, a fronte di circa 3.300.000 al Centro-Nord. Nello stesso periodo la popolazione autoctona del Sud è diminuita di 642.000 unità, mentre al Nord è cresciuta di 85.000. Nel corso dei prossimi 50 anni il Sud perderà 5 milioni di residenti: -1,2 milioni sono giovani e -5,3 milioni persone in età da lavoro. A fronte di un Centro-Nord che conterrà le perdite a 1,5 milioni.
Il gap occupazione tra Nord e Mezzogiorno è aumentato a dismisura: nell’ultimo decennio è salito al 21,6%, rispetto al 19,6% del passato. Ciò comporta che i posti di lavoro da creare per raggiungere i livelli del Centro-Nord sono circa 3 milioni.
Stringendo il campo sui dati del primo semestre del 2019, la crescita dell’occupazione riguarda solo il Centro-Nord (+137.000), cui si contrappone il calo nel Mezzogiorno (-27.000). Al Sud aumenta la precarietà che si riduce nel Centro-Nord, riprende a crescere il part-time (+1,2%), in particolare quello involontario che nel Mezzogiorno si riavvicina all’80% a fronte del 58% nel Centro-Nord.
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lunedì, 4 Novembre 2019 - 14:42
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