Un intoppo, che potrebbe essere legato a doppio filo allo scandalo che prima dell’estate ha travolto il mondo della magistratura e il Csm. La nomina del procuratore aggiunto Giuseppe Borrelli a capo della procura di Salerno deve attendere: nonostante il voto all’unanimità espresso lo scorso luglio dalla Commissione per gli incarichi direttivi del Consiglio superiore della magistratura, il plenum del Csm – riunitosi nella giornata di ieri – non ha formalizzato quella promozione che sembrava cosa già fatta. Una mozione presentata dal consigliere Piercamillo Davigo, leader della corrente ‘Autonomia & Indipendenza’, ha provocato lo stop e innescato il rinvio della discussione di una settimana.
C’è l’esigenza di un approfondimento istruttorio. Il che, inevitabilmente, lascia pensare che sulla nomina di Borrelli pesi l’inchiesta di Perugia. Magistrato stimatissimo e con lunghi trascorsi nella Direzione distrettuale antimafia di Napoli, Borrelli è finito suo malgrado nelle intercettazioni che hanno svelato i tentativi di ingerenze, fatti dal pm romano Luca Palamara, nelle nomine dei capi di alcuni uffici di procura. A chiamarlo in causa sono stati, in una conversazione, Palamara e il pm della Direzione nazionale antimafia Cesare Sirignano, che a Napoli è stato pm della Dda. I due ragionavano sul futuro capo della procura di Perugia, incarico per il quale Borrelli aveva presentato domanda. A Palamara, in particolare, occorreva un procuratore che coltivasse gli esposti che il pm Stefano Fava aveva presentato a Perugia contro l’allora capo della procura di Roma Giuseppe Pignatone e l’aggiunto Paolo Ielo. Nel corso di quella conversazione Sirignano lasciava intendere una disponibilità di Borrelli in tal senso, asserendo di averci parlato. Quando le intercettazioni sono saltate fuori, Giuseppe Borrelli ha presentato a Perugia una denuncia contro Cesare Sirignano per avergli attribuito circostanze e fatti non corrispondenti a verità.
Una storia che, tuttavia, rischia di incidere sulla valutazione del Csm, che all’indomani dello scandalo delle toghe si è data regole di selezione più rigide per gli incarichi semidirettivi e direttivi. Regole stringenti che hanno stravolto anche la tabella di marcia per la designazione del successore di Giuseppe Pignatone a Roma. Prima che lo scandalo delle toghe occupasse le pagine dei giornali, la Commissione per gli incarichi direttivi del Consiglio superiore della magistratura aveva espresso anche la sua valutazione sui tre candidati ritenuti più idonei. Ebbene, l’iter è stato poi azzerato e si è ripartiti da zero. Si è ripartiti cioè dalle 13 candidature originarie, alle quali sono seguite le audizioni di tutti gli aspiranti procuratori di Roma. In corsa restano otto magistrati, perché altri cinque hanno nel frattempo ritirato la domanda.
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mercoledì, 6 Novembre 2019 - 20:36
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