Dalle aule di Tribunale nelle vesti di avvocati ai panni dell’«autorevole esponente della criminalità organizzata trapanese». E’ la storia di Antonio Messina, 73 anni di Campobello di Mazara, descritta negli atti dell’ultima inchiesta sugli affari del boss latitante Matteo Messina Denaro che stamattina è sfociata nell’esecuzione di un’ordinanza di custodia cautelare (2 in carcere e una ai domiciliari) spiccata per traffico internazionale di sostanze stupefacenti. Gli arresti eseguiti dai carabinieri del Ris e del Comando Provinciale di Trapani, nonché dai finanzieri del Gioco del Nucleo di Polizia Econonomico-Finanziaria di Palermo, sono in tutto tre. Decine invece le perquisizioni in corso su tutto il territorio nazionale, e per eseguire le quali sono stati impegnati oltre 100 Carabinieri e Finanzieri, supportati da unità cinofile, e riguardano abitazioni e luoghi nella disponibilità degli indagati. In particolare molte perquisizioni sono in corso a Milano dove alcuni fedelissimi della primula rossa si erano trasferiti per affari e strani giri.
Antonio Messina è uno degli arrestati. Non è più avvocato da tempo: è stato radiato dopo una condanna per concorso esterno in associazione mafiosa e droga. Di lui ha già parlato il pentito Rosario Spatola che ha riferito delle relazioni di Messina con contatti di vertice di Cosa Nostra già negli anni Novanta. Il 73enne è stato sottoposto ai domiciliari: oggi vive a Bologna. Si sono invece aperte le porte del carcere per Nicolò Mistretta, 64 anni, e Giacomo Tamburello, 59 anni. Le indagini hanno evidenziato come gli arrestati, tra cui l’ex avvocato Antonio, tutti originari di Campobello di Mazara, sfruttando rapporti consolidati con alcuni referenti stranieri, nel periodo monitorato dagli investigatori abbiano operato importazioni di ingenti quantitativi di sostanze stupefacenti lungo la tratta Marocco – Spagna – Italia. Nel corso delle indagini è stata intercettata una partita di droga proveniente dalla penisola iberica e destinata al mercato milanese, costituita da 240 chili di hashish, sequestrati a Carate Brianza, con il conseguente arresto in flagranza di un uomo incaricato di custodire lo stupefacente. La merce avrebbe fruttato circa 35. mila euro, raddoppiando l’investimento illecito.
Secondo quanto sostiene la Direzione direzione distrettuale antimafia di Palermo, il business era stato gestito in nome e per conte di Matteo Messina Denaro. Una convinzione maturata alla luce di alcune intercettazioni che sono al cuore dell’inchiesta. In un dialogo intercettato tra l’ex avvocato Messina e un pregiudicato si è parlato ampiamente della situazione della famiglia di Cosa nostra di Castelvetrano e delle difficolta’ che stava incontrando il clan per via dei numerosi blitz delle forze dell’ordine. I due facevano cenno anche al latitante e il palermitano asseriva persino, spiega chi indaga, di «avere incontrato» Messina Denaro, «iddu», che «veniva a Trapani», lo accompagnavano «alla stazione». Il fatto risalirebbe a due anni fa.
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mercoledì, 13 Novembre 2019 - 09:45
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