E’ una storia giudiziaria lunga e tormentata quella di Giuseppe Diana, imprenditore di Casal di Principe che da dieci anni è sotto la lente di ingrandimento della magistratura inquirente. Prima l’accusa di avere avuto un ruolo nell’agevolare l’infiltrazione dei Casalesi nella società «Eco4» (che si occupava della raccolta di rifiuti in diversi comuni della provincia di Caserta), poi il sospetto di avere tentato la scalata, sempre per conto dei Casalesi, dei vertici della Lazio e infine la contestazione di concorso esterno in associazione mafiosa. Dieci anni di sospetti, di processi (tre diversi), scanditi anche dalla detenzione in carcere, per qualche mese pure in regime di 41bis, e dalla perdita della propria attività, la Diana Gas, che ancora oggi è gestita da un amministratore giudiziario.
Una storia lunga, tormentata e paradossale. Sì, perché nessuna delle tre gravi accuse mosse a Diana hanno portato ad una condanna. Giuseppe Diana è sempre stato assolto (ad eccezione di un’accusa di concorso in estorsione senza aggravante di matrice camorristica) eppure sulla sua società pende ancora un provvedimento di sequestro.
L’ultima sentenza di assoluzione, Giuseppe Diana, l’ha incassata martedì pomeriggio 26 novembre. L’hanno firmata i giudici del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere all’esito di un dibattimento protrattosi per ben otto anni. L’istruttoria è stata complessa ma il corso delle udienze è stato pure rallentato da numerosi cambi dei pubblici ministeri che hanno sostenuto l’accusa in giudizio ed anche dai cambi di giudici. Diana era accusato di concorso esterno in associazione mafiosa, una rivisitazione dell’accusa di camorra che era già franata anni fa. Contro di lui c’era la dichiarazione di un pentito soltanto, Michele Frongillo del clan Belforte, e qualche intercettazione il cui contenuto è stato interpretato dal pm che istruì il caso come riscontro al racconto del collaboratore di giustizia. Racconto, va precisato, basate su circostanze mai apprese direttamente. A processo è poi saltato fuori un altro pentito, Raffale Piccolo, manovalanza del clan dei Casalesi, che ha indicato in Diana un imprenditore dei rifiuti soprannominato ‘zio Paperone’ e nato a San Cipriano ad Aversa. Ma Diana è nato a Casal di Principe e, come se non bastasse, gli avvocati hanno trovato, in altri atti giudiziari, lo ‘zio paperone’ cui Piccolo si riferiva: era Giacomo Diana. Quanto basta ad evidenziare la fumosità di un quadro indiziario dinanzi alla quale anche il pubblico ministero antimafia Fabrizio Vanorio, che ha ereditato il procedimento, ha alzato le mani. In sede di requisitoria, infatti, il magistrato inquirente ha chiesto l’assoluzione di Diana ai sensi della vecchia formula dubitativa.
I giudici del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere però sono andati oltre: hanno sposato appieno le conclusioni della difesa, rappresentata dagli avvocati Marco Muscariello e Antonio Abet, ed hanno assolto Diana con formula piena. Un’assoluzione che è destinata a diventare definitiva. Come definitiva è divenuta un anno fa l’assoluzione che Diana ha incassato nell’ambito dell’inchiesta sulla scalata dei vertici della Lazio: l’imprenditore fu accusato di avere provato a comprare la Lazio con 24 milioni di euro, soldi che secondo la procura erano dei Casalesi. Diana fu assolto già in primo grado, ma il pm – che ne aveva chiesto la condanna a 10 anni – propose appello. Anche in secondo grado però Diana ha visto cadere tutte le accuse. E in passato sono cadute anche le accuse più gravi che gli sono state mosse nell’ambito dell’inchiesta ‘Eco4’: in quel processo Diana è stato condannato (in via definitiva) solo per concorso in estorsione (ma senza aggravante della matrice camorristica) ai danni del cognato Michele Orsi (ucciso dai Casalesi), perché lo sollecitò a pagare la tangente ai Casalesi.
Storia giudiziaria complessa quella di Giuseppe Diana. Nella quale fa da sfondo la sorte toccata alla sua azienda, la Diana Gas, che – al tempo delle prime inchieste – fu posta sotto sequestro. L’imprenditore oggi è stato assolto dalle accuse più gravi che spinsero la procura a chiedere, ottenendolo, il sequestro dell’attività, ma l’attività è ancora affidata ad un amministratore giudiziario. La procedura è ancora in corso dinanzi al Tribunale misure di prevenzione.
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giovedì, 28 Novembre 2019 - 16:12
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