I tornanti che si attorcigliano fino alla vetta di Montevergine sembrano non finire mai. Una dopo l’altra, le curve a strapiombo sembrano voler scoraggiare chi, col cuore carico di speranza, affronta il viaggio per chiedere una grazia per se stesso o per un proprio caro, per una malattia incurabile, per un figlio, per pregare in ginocchio e riconciliarsi con Dio attraverso sua Madre. A Montevergine ci va da secoli chi chiede un miracolo ma anche chi chiede perdono per grandi peccati. Assassini e camorristi, ladri e manigoldi che vogliono chiudere con la vecchia vita che si pentono solo davanti a Dio e alla Madonna.
La storia di Montevergine l’hanno scritta ferventi fedeli e grandi penitenti. Seguono le orme di Guglielmo da Vercelli, il santo apostolo e pellegrino che qui si rifugiò nel VII secolo, tra lupi e orsi, in una cella che diventò Chiesa nel 1126. Da secoli a migliaia ripercorrono il tragitto di San Guglielmo e mano a mano che si sale di quota aumenta la suggestione, cresce il carico di aspettative, fino ad arrivare di fronte alla cattedrale maestosa e sospesa per un lato su uno sperone di roccia. È un’immagine plastica che mozza il fiato.
A guardia del monastero San Guglielmo col lupo ai piedi, col braccio alzato come in un monito. Un monito che non ha fermato i ladri che l’altro giorno hanno fatto scempio di ex voto. Un furto che colpisce il cuore dei fedeli e offende la Madonna nera. A Mamma Schiavona da secoli si rivolgono i disperati, gli speranzosi, chi cerca consiglio e chi ringrazia per un dono ricevuto. «Chi vuole ‘a grazia a Mammà Schiavona che sagliessero o Muntagnone» recita un’antica ballata che da secoli accompagna il tragitto dei pellegrini che a piedi risalgono il Partenio con il cuore pieno di speranza o colmo di riconoscenza.
Vengono da ogni dove per inginocchiarsi dinnanzi alla statua della Vergine in Trono col Bimbo in grembo e chiedere la sua intercessione presso il Padre celeste. E per pegno o per ringraziamento lasciano ai piedi della Madonna, da secoli e secoli, quanto di più caro hanno. Da piccole riproduzioni di arti e neonati in argento, raffiguranti il dono ricevuto da paralitici che hanno ripreso a camminare a donne sterili che hanno partorito, fino a pesanti collane d’oro. Onici, perle, anelli. Dalla Vergine i fedeli ci vanno per chiedere e per ringraziare, per invocare perdono.
Sono tanti quelli che arrivano a Montevergine per domandare udienza e intercessione «all’Avvocata nostra», per riconciliarsi con Dio. Chissà se i ladri che sono entrati nel santuario sono a conoscenza di tutto questo. Chissà se chi ha pianificato il colpo con loro (si parla di una complicità locale) li ha informati circa la potenza dell’ira di Dio. Chissà se mentre scappavano giù per i tornanti hanno riflettuto sulla storia del bottino che si stavano portando via. Chissà, ancora, se hanno valutato gli effetti spirituali della rabbia che hanno provocato col loro scellerato gesto non nella Vergine, che è simbolo di perdono e misericordia, ma nei fedeli che quei monili li hanno lasciati ai piedi del trono mariano in segno di ringraziamento.
Trent’anni fa da Montevergine sparì la preziosa corona dal capo di Maria Santissima, ma poi tornò al suo posto. Da due giorni i fedeli pregano che anche gli ex voto siano ritrovati e rideposti nella teca secolare, sono simboli sì vulnerabili e caduchi della fede umana, ma rappresentano soprattutto il patto millenario tra i pellegrini e la Vergine. Il loro posto è sul Partenio, non sul banco di un ricettatore, perché il loro valore non ha niente a che fare con il denaro, esso è ‘solo’ potentemente spirituale.
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martedì, 17 Dicembre 2019 - 10:04
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