Denaro, gioielli e sesso in cambio di favori nei processi. Queste le accuse mosse nei confronti di Marco Petrini, magistrato della Corte di Appello di Catanzaro, arrestato questa mattina dalla Guardia di Finanza di Crotone su ordinanza di custodia cautelare emessa dal gip del Tribunale di Salerno. Otto in tutto gli indagati (sette in carcere ed uno ai domiciliari). Agli arresti è finito un avvocato del foro di Catanzaro, Marzia Tassone, mentre un avvocato del foro di Locri, Francesco Saraco, è ai domiciliari. Coinvolti anche l’ex consigliere regionale Giuseppe Tursi Prato ed alcuni professionisti calabresi definiti dagli inquirenti «insospettabili». L’accusa principale è di corruzione in atti giudiziari, con – solo in alcuni casi – l’aggravante delle finalità mafiose.
L’indagine è partita nel 2018 e si basa sulla ricostruzione, da parte degli inquirenti, di un vero e proprio sistema di corruzione che vedeva come perno il magistrato, destinatario di denaro, gioielli ma anche di prestazioni sessuali in cambio di favori processuali, per esempio le assoluzioni o le riduzioni di pena promesse o assicurate dallo stesso per vanificare gli effetti di una sentenza di condanna in primo grado. Ma l’inchiesta riguarda anche i sequestri preventivi previsti dalla normativa antimafia, i processi tributari e quelli in sede civile. A muovere la sua azione, spiega il gip, la situazione di grave sofferenza economica di Petrini, che aveva bisogno di continue nuove entrate per potere sostenere il proprio tenore di vita.
Presunto complice di questo sistema era un medico in pensione ed ex dirigente dell’Asl di Cosenza che secondo quanto emerso stipendiava Petrini, che è pure presidente della Commissione provinciale tributaria, per godere dei favori processuali e trovava altre persone – imputati o parenti di imputati – disposti a corrompere il giudice.
Il consigliere regionale Tursi Prato, invece, avrebbe ottenuto, grazie ai servigi di Marco Pretini, il vitalizio; il politico era stato condannato nel 2004 a sei anni con interdizione perpetua dai pubblici uffici, condanna che aveva comportato la decadenza del diritto all’assegno.
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mercoledì, 15 Gennaio 2020 - 11:18
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