Cacciare i parenti dei pentiti dal territorio di propria competenza per evitare che essi stessi, a loro volta, possano acquisire notizie ‘sensibili’ sul malaffare e consegnarle nelle mani della magistratura. Nella politica criminale del clan Luongo, cui i Mazzarella avevano demandato il controllo degli affari illeciti a San Giorgio a Cremano (comune in provincia di Napoli), rientrava anche la strategia di eliminare le ‘mine vaganti’. E, se possibile, pure quella di acquisire elementi utili a scovare in che località i collaboratori di giustizia si fossero nascosti.
Così tra l’ottobre del 2016 e il marzo del 2017 la loro ira si è abbattuta su un parente dei pentiti Francesco e Salvatore Mazzarella, del ‘ramo Mercato’ della omonima famiglia. Il ragazzo, che all’epoca minorenne, era rientrato in città insieme alla madre, dopo aver deciso di allontanarsi dalla località protetta perché la zona non era di loro gradimento («troppo isolata», spiegarono ai carabinieri).
La circostanza non sfuggì a Umberto Luongo e da quel momento in poi – come ricostruito negli atti dell’inchiesta che stamattina ha disarticolato il clan Luongo – ebbero luogo una serie di minacce e di pressioni che, il 17 febbraio del 2017, sarebbero potute precipitare se il fiuto di un carabiniere libero dal servizio non avesse messo in salvo le vittime. Quel giorno, infatti, il ragazzino e la madre furono costretti a raggiungere l’abitazione di Luongo al Parco Astino in via Tamborrino, a San Giorgio a Cremano, e qui il ras, dopo avere ribadito che «a San Giorgio comando io», pretese di sapere dove si nascondessero i fratelli Salvatore e Francesco Mazzarella, uno dei quali è il padre del minacciato.
La risposta non l’ha mai avuta, perché in quel momento i carabinieri bussarono alla porta della sua abitazione. Era accaduto che un carabiniere libero dal servizio avesse notato il ragazzino fuori al parco di Luongo e che, sapendo di precedenti minacce, s’era insospettito. Contestualmente era arrivata ai carabinieri la telefonata del padre pentito del minore, che segnalava il timore che al figlio potesse accadere qualcosa. Così i militari dell’Arma intervennero immediatamente, salvando di fatto madre e figlio.
Pochi giorni prima il ragazzino era scampato ad un altro brutto episodio: stava percorrendo via Repubbliche Marinare in sella ad uno scooter quando un’auto blindata gli tagliò la strada. A bordo vi erano Umberto Luongo, il boss Salvatore D’Amico ‘o pirata, Bertrando e Ciro Gagliarldi. E le minacce che gli occupanti della macchina rivolsero al ragazzo erano chiare: «Tu sei ancora in giro! Tuo padre è un pentito, hai capito che non ti devi fare vedere da queste parti?». Ma il ragazzino provò a replicare e a quel punti alcuni occupanti provarono a incitare Salvatore D’Amico a passare alle vie di fatto: «Ma sparalo proprio a questo, sparalo proprio». E D’Amico, forse, avrebbe sparato per davvero, perché impugnò la pistola che teneva tra le gambe ma il ragazzino ebbe la prontezza di riflessi di mettere in moto e fuggire.
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mercoledì, 22 Gennaio 2020 - 15:09
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