«Ingenti guadagni con il minimo rischio». Tra gli affari del clan D’Amico quello tra i più remunerativi ed al contempo con la minima percentuale di rischio era l’imposizione delle buste di plastica ai negozianti. Il business fa gola alla criminalità organizzata perché permette di ‘camuffare’ il pizzo, la richiesta estorsiva ai commercianti, imponendo l’acquisto dei sacchetti.
Il clan D’Amico ha utilizzato per molto tempo questo sistema per fare cassa con una forma di estorsione ‘soft’: nessuna richiesta di denaro diretta, ma ‘semplicemente’ l’obbligo di acquistare il proprio prodotto, in una sorta di monopolio coatto. Non è un settore nuovo alla camorra locale, adusa a imporre il pizzo attraverso la scelta imposta di calendari o altri gadget tra i commercianti di San Giovanni a Teduccio contando soprattutto sulla omertà degli esercenti che, seppur costretti, accettavano l’’affare’ e non denunciavano estorsioni. Un sistema che viene utilizzato pure da Umberto Luongo, proprio sulla base della ‘positiva’ esperienza dei D’Amico, e portata quindi a San Giorgio.
Lo spaccato emerge dalla lettura dell’ordinanza con cui sono state disposte 34 misure cautelari nei confronti di altrettanti presunti affiliati al clan Luongo-D’Amico, considerato dagli inquirenti espressione territoriale dei Mazzarella tra San Giorgio e Portici. Umberto Luongo, basandosi proprio sull’esperienza di San Giovanni a Teduccio, decide di imporre le buste di plastica ai commercianti di San Giorgio a Cremano.
«Il fatto di queste buste non è male» si dicono tra loro due affiliati – Michele Esposito e Sabrina De Santis, marito e moglie, entrambi destinatari di misura cautelare – in una conversazione captata in auto dalle microspie delle forze dell’ordine. Siamo nel giugno del 2017. «Le buste si vendono, le buste le prendono tutti- continua Esposito – e poi ti vedono lavorare, dicono ‘fa la busta, fa la posta’». Un affare da 2-300 euro a settimana «senza fare niente».
Nel discutere la proposta di Umberto Luongo di distribuire i sacchi per la spesa tra i commercianti di San Giorgio a Cremano, il marito spiega alla moglie Sabrina che, essendoci dietro la camorra, ovvero Umberto Luongo, non ha bisogno di trovare clienti. Luongo è promotore e finanziatore dell’impresa: prima manda i suoi scagnozzi nei negozi, poi manda i venditori di buste a concludere. Così l’esercente finisce per non avere alcun potere contrattuale: avvertito dagli uomini di Luongo, accetta ‘di buon grado’ di comprarle da prestanome del boss.
E’ un affare che fa gola, quello delle buste, come riconosce Sabrina De Santis parlando col marito Michele incitandolo a «mettere le mani sull’affare». Un affare però con precise regole contrattuali e autotutele: scadenze settimanali e nessun rapporto personale continuativo.
Esposito avrebbe voluto dividere al cinquanta percento, stoppato però da Umberto Luongo, che gli impone di portagli la paga settimanale, come accade per gli altri business. Un accordo comunque conveniente, ma da proteggere con estrema cautela. Tra i divieti imposti da Luongo, quello di una frequentazione costante; Esposito avrebbe voluto un rapporto fatto di visite quotidiane, Luongo gli intima di andarlo a trovare solo una volta a settimana, nel week end, per evitare di insospettire le forze dell’ordine. Un incontro di mezzora al massimo, giusto per «un caffè», al fine di eludere la pressione dei carabinieri.
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lunedì, 27 Gennaio 2020 - 10:09
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