Napoli, indagine sui carabinieri infedeli:
 «Un solo militare ci dava fastidio, bomba sotto l’auto per farlo trasferire»

Pistola Legittima Difesa

Quel «maresciallo era l’unico che a Sant’Antimo faceva il suo lavoro». Era l’unico che compiva operazioni contro il clan Puca, colpendone gli interessi. E, visto che comprarlo non si era rivelato possibile, la cosca egemone in città decise di fare risultare la sua vita in pericolo allo scopo di spingere i superiori del militare a disporne il trasferimento a scopo cautelativo.

E’ un retroscena inquietante quello che emerge dalle 154 pagine di ordinanza di custodia cautelare, a firma del gip Valentina Gallo del Tribunale di Napoli, che descrive uno spaccato di corruzione all’interno della tenenza di Sant’Antimo.

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 E’ un retroscena che racconta come i clan della camorra siano capaci di contrastare i fedeli servitori dello Stato facendo leva sui protocolli di difesa e di etica adottati dalle forze dell’ordine. Il protagonista, suo malgrado, di questa storia è il maresciallo Giuseppe Membrino (oggi alla guida della tenenza di Trentola Ducenta), di cui decidiamo di fare nome e cognome, pur essendo egli parte offesa, perché a Membrino va riconosciuto il valore di onestà e correttezza professionale per via del quale l’uomo ha rischiato la vita.

Nel 2009 l’auto del maresciallo fu danneggiato da una bomba carta. Era un’intimidazione. E lo si intuì subito. Ciò che invece fu scoperto solo nel 2017, quando Claudio Lamino, uomo del clan Puca, è passato a collaborare con la giustizia, è che quella bomba carta piazzata dalla camorra non era un semplice avvertimento. Quella bomba carta era sintomatica di una strategia studiata a tavolino dal clan Puca per ottenere il trasferimento del maresciallo dalla tenenza di Sant’Antimo, allo scopo che il carabiniere non svolgesse più il suo lavoro di contrasto alle illegalità. Prima di quell’episodio, il clan aveva provato a screditare lo stesso maresciallo, pedinandolo e arrivando a filmarlo in alcuni momenti della sua vita personale al fine di inviare i video al Comando provinciale. Una mossa che non ebbe risultati.

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Di qui la decisione di alzare il tiro, dimostrare che la vita del maresciallo era in pericolo e quindi spingere l’Arma a rimuovere il maresciallo nel suo interesse. «Membrino era l’unico che faceva il suo lavoro e dava fastidio al clan, faceva sempre dei controlli e sequestrava tutti i cantieri abusivi realizzati da Antimo Luca – ha raccontato il pentito Lamino agli inquirenti – La decisione dell’attentato ai suoi danni, con la finalità di determinare il trasferimento in altra sede, fu presa da Antimo Luca e da Peppe ‘o scucciato perché Membrino aveva fatto un sequestro su capannone di Antimo Puca che era stato affittato, per 10mila euro al mese, ad una ditta che si occupava dello smaltimento dei rifiuti urbani». Il capannone in questione era sito in via Mercalli, in prossimità di un grosso centro sportivo. L’intervento del maresciallo determinò l’inibizione dell’utilizzo dell’area e l’avvio di una procedura di bonifica del sito.

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lunedì, 27 Gennaio 2020 - 14:51
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