«Restiamo uniti» dice Vito Crimi, da meno di una settimana capo politico del Movimento Cinque Stelle dopo le dimissioni di Luigi Di Maio. E’ un compito impietoso quello del senatore, finito per Statuto alla guida di un movimento allo sbando ed ora costretto a fare il punto con un doppio risultato che grida al disastro. Percentuali che mostrano evidente la fine di un ciclo e la necessità forse di una rifondazione. O si cambia – potrebbe essere il motto dei Cinque Stelle – o si muore.
In Emilia Romagna il candidato grillino, l’imprenditore Stefano Benini che pure si è speso molto per questa campagna elettore, raccoglie un misero 5%, davvero poco se si pensa che proprio qui, nella regione rossa per eccellenza, era iniziata la storia del Movimento: era l’8 settembre del 2007 e Beppe Grillo scelse piazza Maggiore a Bologna per il primo V- Day, l’evento che mise le basi per la nascita del futuro partito e che lanciò il programma politico del comico, poi trasfuso ai suoi epigoni come un mantra che è diventato la cifra del movimento, infine tramutatosi in eco lontano attraverso l’esperienza di governo prima coi leghisti ora coi democratici.
In quel 2007 si parlava di casta, di parlamentari condannati, si lanciava la Santa Inquisizione grillina che dietro aveva una vera e propria macchina da guerra, la ‘misteriosa’ Casaleggio e associati. Di quel veleno, di quella gogna mediatica e di piazza, di quel programma fatto di bersagli politici da colpire per il solo fatto di appartenere alla ‘kasta’, al Parlamento, ma anche di obiettivi programmatici avveniristici, oggi non restano che macerie ideologiche e pochi, davvero pochi voti.
Stefano Benini, si è detto, nonostante gli sforzi in Emilia ha raccolto miseri consensi ed ha fatto dimenticare in un sol colpo e mestamente la grinta di quell’8 settembre 2007 a Bologna. In Calabria se possibile va pure peggio. Francesco Aiello, scelto dopo un estenuante tira e molla con gli alleati di governo del Pd, è andato da solo e da solo è andato a sbattere, raccogliendo un 7,6% – cifre ancora da ufficializzare – che lo porrebbe sotto la soglia di sbarramento. Una debacle: qui in Calabria il Movimento Cinque Stelle alle elezioni parlamentari aveva raggiunto il 43%. E poco importa che le Regionali siano sempre state un test difficile per i pentastellati, la crisi di consensi anche qui al Sud, roccaforte di voti grillini, è evidente.
Crimi tenta di tenere unite le truppe:« Il voto delle regionali ha sempre visto il Movimento raccogliere risultati inferiori rispetto alle tornate nazionali – dice, ma poi riconosce – ma va riconosciuto che in Calabria ed Emilia Romagna i risultati sono stati inferiori alle aspettative».
«Questo però – aggiunge – non ci induce ad arrenderci: semmai è vero il contrario. Abbiamo già avviato il lavoro di organizzazione che ci consentirà un maggiore coordinamento». Per fare questo, sarà necessario «restare uniti, non lasciarsi irretire da facili sirene».
Il neo leader dei Cinque Stelle invoca «tempo e pazienza» perché il Movimento non è finito ed in ginocchio come sembrerebbe. Non sta scomparendo, come suggerirebbero i numeri di queste regionali e non solo: «A volte – afferma il senatore – ci si trova a dover scegliere tra il consenso e il bene dei cittadini, non sempre le due cose coincidono. C’è la ricerca del facile consenso, quello di chi ad agosto fugge dalle responsabilità che si era assunto nei confronti dei cittadini italiani. E poi c’è il consenso guadagnato con il sudore, che richiede tempo, pazienza e resistenza. Quello che stiamo facendo e continueremo a fare contribuirà a renderà questo Paese migliore e più vivibile. Ci vorrà tempo, ma il consenso arriverà e non sarà effimero, ma il risultato di un buon lavoro».
Ma pur dando atto a Crimi di voler scuotere i suoi, ridestarli dopo la batosta di Emilia e Calabria, queste consultazioni pongono ai grillini anche un altro interrogativo, molto più pregnante: cosa volete essere da oggi? E quindi sarà necessario anche ridisegnare forse l’alleanza con il Pd al governo, il ruolo di Giuseppe Conte, il futuro nazionale oltre che quello locale.
Questi due test politici non smuoveranno il patto giallorosso, ma sicuramente esprimono la necessità di rivederlo. Il Pd nella sua roccaforte ha tenuto, è il primo partito, ha respinto l’assalto leghista e ne è uscito rafforzato, soprattutto la leadership normalizzatrice di Nicola Zingaretti. Con il dato in più delle Sardine che sono riuscite in una mobilitazione di piazza molto simile proprio a quella dei primordi dei Cinque Stelle. E il Pd è anche primo partito in Calabria, nonostante la vittoria di Jole Santelli. I Dem non hanno perso la sfida delle urne e si trovano, quasi senza sperarlo, rafforzati al Governo e con un alleato a pezzi e che deve fare i conti con gli errori strategici di oggi (rifiutare caparbiamente un alleanza anche locale, affidarsi sempre e comunque a Rousseau, disdegnare i suggerimenti della base sempre più malpancista) e con un futuro prossimo tutto da riscrivere. Ma come?
C’è chi, come Gianluigi Paragone, invoca Alessandro Di Battista, unico capace di «far risorgere il movimento» ormai «soffocato nella sua scatoletta di tonno». Chi invece pensa a ‘Giuseppi’, al premier Conte, lo Zelig che esce indenne da un governo coi leghisti trasformato in alleanza con il Pd e forse oggi unica vera guida stabile, credibile e capace di tenere insieme i pezzi del Movimento e di saldarli ad un Pd che riesce a tesaurizzare l’esperienza di governo. In mezzo, una volta conclusa la reggenza di Vito Crimi, c’è la scelta del dopo Di Maio con in pole il Guardasigilli Alfonso Bonafede cui spetterà un compito davvero ostico: ricomporre i cocci di una storia.
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lunedì, 27 Gennaio 2020 - 09:32
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