«Centomila mascherine per gli operatori che accedono dall’esterno nelle carceri italiane». Diceva così l’11 marzo il ministro della Giustizia Bonafede durante l’informativa alla Camera e al Senato sulle rivolte nei penitenziari italiani scoppiate dopo lo stop ai colloqui. Una prima fornitura.
E, nel frattempo, le mascherine arrivano anche per i detenuti, che temono l’esplosione di contagio amplificata anche dal fattore sovraffollamento. Un buon inizio, sulla carta. Perché nella realtà le mascherine fornite agli agenti della Penitenziaria lasciano davvero a desiderare.
Nel penitenziario di Santa Maria Capua Vetere, allo stato, gli agenti sono in possesso esclusivamente di mascherine chirurgiche, che praticamente servono a poco: ogni agente la riceve all’inizio del turno di lavoro. Qui pochi giorni fa è risultato positivo un dirigente del servizio sanitario penitenziario. Ma l’uomo sembrerebbe non avere avuto contatti diretti con i detenuti dal momento che ricopre un ruolo dirigenziale.
A Rebibbia, invece, agli agenti sono state date mascherine tipo ‘carta igienica’, attaccate addirittura con le spillette. E c’è chi, per il timore che esse non siano abbastanza ‘resistenti’, ne usa una sopra l’altra. Mascherine di tipo diverso, invece, sono nella disponibilità del personale medico che opera a Rebibbia.
Ma c’è anche chi si sta già attivando con mascherine portate da casa, perché c’è il timore che le forniture siano limitate. Scenari che siamo in grado di raccontarvi dopo avere fatto verifiche con chi vive nel mondo delle carceri. E le foto che vi mostriamo sono proprio le mascherine date in dotazione nei due penitenziari di Santa Maria Capua Vetere e di Rebibbia.
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lunedì, 23 Marzo 2020 - 13:23
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