I Casalesi e il business del latte, inchiesta chiusa: a processo Adolfo Greco e i nipoti del boss Michele Zagaria

L'imprenditore stabiese Adolfo Greco
di Roberta Miele

Sono bastati due mesi per chiudere l’inchiesta sul business del latte che ruota attorno ai nipoti del boss Zagaria e portare il noto imprenditore di Castellammare di Stabia Adolfo Greco di nuovo a processo. Greco, già imputato dinanzi ai giudici di Torre Annunziata per i rapporti a tinte fosche con i clan stabiesi, dovrà affrontare un nuovo giudizio per concorso esterno in associazione mafiosa per avere favorito i Casalesi, contestazione per la quale – lo scorso 15 gennaio – fu raggiunto da un’ordinanza di custodia cautelare in carcere. I pubblici ministeri titolari del fascicolo, Giuseppe Cimmarotta e Maurizio Giordano (entrambi in forza alla Direzione distrettuale antimafia di Napoli), hanno chiesto e ottenuto il giudizio immediato, sostenendo che agli atti dell’inchiesta vi sono elementi certi che non necessitano del vaglio preventivo da parte di un giudice dell’udienza preliminare.

Il gip del Tribunale di Napoli ha dunque disposto il dibattimento. A processo oltre a Greco ci saranno anche gli altri indagati, tra i quali Filippo e Nicola Capaldo, nipoti del boss Michele Zagaria. Tutti gli imputati avranno la possibilità di chiedere il rito abbreviato, formula che in caso di condanna prevede lo sconto di un terzo della pena. E’ proprio in seguito alla notifica del giudizio immediato che i difensori di Greco hanno avanzato richiesta di attenuazione della misura cautelare per l’imprenditore, ottenendo così gli arresti domiciliari. Greco è tornato a Castellammare, lì dove, la mattina del 5 dicembre del 2018, durante un blitz della polizia venne ammanettato e portato nel carcere di Secondigliano per effetto delle accuse di estorsione aggravata dalla matrice camorristica per il quale è sotto processo dinanzi ai giudici del Tribunale di Torre Annunziata. Da allora si sono susseguite le richieste di rimodulazione della misura cautelare da parte della difesa, mai accolte fino al 14 gennaio scorso. Il tribunale di Torre Annunziata, a causa delle gravi condizioni di salute di Greco incompatibili con il regime carcerario, aveva disposto i domiciliari. La mattina successiva, però, la scarcerazione è stata bloccata dal secondo provvedimento di custodia cautelare in carcere spiccato dal gip Leda Rossetti. Stavolta l’accusa è di aver favorito Filippo e Nicola Capaldo, espressione del clan dei Casalesi.

A sostegno dell’accusa di concorso in esterno in associazione di stampo mafioso vi sono le intercettazioni. «Con Parmalat rispondo io con il nome mio»: è l’osservazione di Adolfo Greco dinanzi al defunto Antonio Tobia Polese (proprietario del ristorante ‘La Sonrisa’) e al figlio Luigi. Il 29 luglio del 2013, don Adolfo, ignorando di essere intercettato dalle cimici degli inquirenti, ha raccontato ai due interlocutori della richiesta di aiuto ricevuta da parte dei fratelli Capaldo, nipoti del boss Zagaria. La richiesta è stata formulata durante un incontro fra i tre. Incontro combinato da un ingegnere, eletto a ‘postino’ dei Capaldo per evitare l’utilizzo dei cellulari.

Filippo e Nicola Capaldo precedentemente si erano visti confiscare la società ‘Euro Milk’, che aveva la concessione per la distribuzione dei prodotti Parmalat nella provincia di Caserta, così si sono appellati a don Adolfo per continuare a svolgere l’attività. «Sono serie A, ad alto livello… Per tutta l’Italia quelli comandano, tengono», ha spiegato Adolfo Greco a Polese e al figlio, riferendosi ai Capaldo. E per meglio chiarire con che tipo di persone si è rapportato ha continuato: «La mamma di questi qua Capaldo è la sorella di Zagaria e loro stavano insieme… essendo che tiene questi tre nipoti… il più grande è Filippo… il più grande tiene 38, 39 anni… Poi tiene Nicola, poi tiene un altro… Il ragazzo senza atteggiarsi… Gli hanno confiscato tutto quanto là, ma quelli tengono tanti soldi… vendevano il latte, gli hanno confiscato pure l’azienda che vendevano il latte». Così, secondo la Procura, Adolfo Greco ha consigliato a Nicola Capaldo di creare una società cooperativa con lo stesso oggetto sociale, individuata dagli inquirenti nella Coop Santa Maria, intestata ad una terza persona, ma «di fatto amministrata dalla famiglia Capaldo».

Il ruolo di Adolfo Geco, per i pm, va oltre il semplice consiglio: il businessman si sarebbe adoperato «interloquendo con i dirigenti campani della Parmalat» per far ottenere alla cooperativa la concessione per la distribuzione. Una condotta ancora più grave, per la procura, in quanto Adolfo Greco era consapevole della circostanza che l’attività imprenditoriale dei Capaldo favorisse il clan casalese. La stessa consapevolezza dei tre manager Parmalat, finiti anch’essi nel registro degli indagati, Antonio Santorio (territory manager), Lorenzo Vanore (manager normal trade Campania) e Pasquale Russo (direttore vendita area centro sud).

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lunedì, 30 Marzo 2020 - 13:00
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