Un disperato bisogno di scuola. È l’espressione che forse meglio racchiude ciò che la didattica a distanza ha rivelato in questi giorni di emergenza Covid-19. Ed è anche la frase che ha concluso il confronto con Rosa Seccia, dirigente scolastico dell’Istituto comprensivo “Madre Claudia Russo – Solimena” di Barra, periferia Est di Napoli, tra i quattro del capoluogo campano e della provincia intervistati da Giustizia News24.
Prima ancora dell’istruzione in senso stretto, l’obiettivo delle scuole, dall’infanzia alle superiori è stato mantenere un contatto con gli alunni. «Sono stati i ragazzi a cercare i professori. Probabilmente perché la scuola è la loro vita, tra quelle mura passano la maggior parte del tempo. In certi contesti è l’unica apertura sul mondo», racconta Rosa Seccia. «Ci sono alti e bassi, è una soluzione anomala per tutti e rimarrà qualche impronta. Alcuni bambini crollano, si cerca di tirarli su con il sostegno di docenti e genitori», aggiunge. E poi ci sono i più deboli: «Tenga presente quanto possa essere difficile con i ragazzini con disabilità». Fare da collante, in una situazione come questa, è complicato soprattutto in un territorio complesso come quello di Barra. «Siamo preoccupati per quei pochi, una decina su 1200 studenti, che risultano ad essere irraggiungibili, non riusciamo ad agganciarli. Abbiamo attivato vari canali anche con varie associazioni sul territorio, oltre ad un monitoraggio – spiega il dirigente scolastico Rosa Seccia – Ho fissato una videoconferenza con il gruppo di funzione strumentale e con i referenti per il disagio e la dispersione scolastica. Cerchiamo di stringere il più possibile i contatti». E così, in quattro e quattr’otto, prima ancora che la didattica a distanza diventasse obbligatoria, la macchina dell’Istruzione si è decostruita per poi ricomporsi su piattaforme come GSuite, Edmodo, Microsoft Teams, Weschool. Ma anche metodi più diretti e istantanei come la chat di Whatsapp per i bambini della scuola dell’Infanzia. Tutto pur di non lasciare indietro nessuno.
Le problematiche sono tante, a partire dalla mancanza di pc, tablet e cellulari all’avanguardia nelle famiglie economicamente svantaggiate. E così le istituzioni scolastiche si sono messe in moto. «Abbiamo fatto un sondaggio per capire quanti device servissero e li abbiamo distribuiti in comodato d’uso gratuito a chi ne aveva bisogno. Ho chiesto ai docenti di sfalsare gli orari delle lezioni per venire incontro alle famiglie con due, tre figli in età scolare e magari con un solo computer»: racconta Maria Aurilia, dirigente dell’Istituto comprensivo ‘Giampietro-Romano’ di Torre del Greco. Certo, la didattica a distanza, da sola, non è il massimo. La serrata ha costretto la scuola a catapultarsi nell’insegnamento online, una modalità che fino ad oggi ha solo accompagnato l’istruzione in presenza. Con conseguenti ricadute: «Se devo dire che gli studenti sono più preparati, non posso. Si fa quel che si può nei limiti del possibile». D’altronde, ha continuato la preside, «la scuola di oggi, la scuola dei saperi, non deve completare il programma. Noi dobbiamo dare gli input, seguire i ragazzi, stimolarli. L’importante è che quello che insegno rimanga. Non possiamo pretendere che questo tipo di lezione possa essere l’optimum, ma i docenti devono impegnarsi per far sì che gli studenti possano seguire quanto più è possibile». Non è passato inosservato, inoltre, come «alcuni ragazzi che magari in classe non si impegnavano adesso stanno dimostrando impegno».
Stesso ‘curioso’ particolare notato da Giuseppe Montella, dirigente scolastico dell’Istituto d’Istruzione Superiore ‘Tilgher’ di Ercolano: «Quasi tutti hanno risposto in maniera positiva, c’è voglia. La cosa che più mi ha emozionato è che ai ragazzi manca la scuola». Ed è per questo che oggi «il nostro scopo non è la didattica, ma avere un contatto vivo, diretto. Non dobbiamo lasciarli soli a casa». Per il ‘Tilgher’, che ha ben 1600 studenti spalmanti tra diversi indirizzi di liceo e due professionali, non ci sono state difficoltà. «Avevamo già avuto altre esperienze su piattaforme online, ad esempio per corsi di formazione, la difficoltà è stata raggiungere tutti», spiega il preside. «In tanti, soprattutto tra i 600 studenti dell’alberghiero, non avevano i device che abbiamo fornito noi». E sempre loro hanno subito le maggiori limitazioni in quanto la pratica è impossibile. «Abbiamo docenti di sala e cucina molto professionali che tramite video hanno continuato a fare lezione. I ragazzi non possono manipolare i prodotti, ma possono osservare, per cui l’insegnamento ha funzionato comunque. Resta un ripiego, ma è già tanto». Il liceo classico Vittorio Emanuele II – Garibaldi di Napoli, presieduto da Valentina Bia, si è attivato in meno di quarantotto ore «per evitare lo sbandamento che crea la sospensione». Poche le richieste di device, solo tre o quattro, «il problema può essere la connessione. In alcune zone la banda larga non c’è, purtroppo lì non possiamo intervenire».
A fare la differenza rispetto alla nuova modalità di insegnamento è stata l’età. «I ragazzi del biennio sono stati più entusiasti, mentre le classi terminali erano più restie, si sono sentite più spaesate. Certo è che la didattica a distanza va incontro alle diverse abilità che hanno sviluppato i nostri giovani, nativi digitali». Abilità che ha facilitato il passaggio alle lezioni online, diventate un modo «per sentirsi legati ai compagni e al loro punto di riferimento, che è l’insegnante. È chiaro, però, che con il passare del tempo è faticoso». Ma il problema grosso è un altro: «Prima la didattica a distanza affiancava quella in presenza. Molti docenti dicono che per l’acquisizione dei contenuti si sono trovati bene. Il problema è la valutazione». E poi, per la preside Bia – così come per tutti gli altri – «le lezioni in aula non potranno mai essere sostituite perché in classe si crea un rapporto continuo e diretto con docenti e compagni. Una videolezione, anche in sincrono, ha altre regole. Si crea un clima molto diverso rispetto a quello a cui siamo abituati».
Resta un grande punto interrogativo: il rientro tra i banchi. Politici e sindacati hanno messo sul piatto diverse proposte, ma molti sono i nodi da sciogliere. Con classi da trenta alunni il distanziamento sociale diventa utopia. «Per ogni studente sono previsti due metri quadrati, che dovrebbero diventare quattro», ha fatto notare Valentina Bia, proponendo ingressi scaglionati e lezioni con studenti a turno per metà in presenza e metà a distanza. In ogni caso tutti navigano a vista, in attesa di direttive dal Ministero. Nella speranza che non ci siano adattamenti al ribasso.
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sabato, 25 Aprile 2020 - 11:55
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