Dopo l’approvazione del decreto del ministro della Giustizia, pensato e scritto per mettere a tacere le polemiche per boss e malavitosi beneficiari dei domiciliari per via delle loro condizioni di salute, dell’età avanzata e del rischio contagio in carcere, c’è il primo detenuto che ritorna in prigione. Si tratta del palermitano Antonino Sacco, che aveva ottenuto i domiciliari dal Tribunale di Sorveglianza: tecnicamente si tratta di un provvedimento di differimento della pena. Il provvedimento è stato revocato ieri sera, martedì 12 maggio: non sussistono più, è la motivazione, «i presupposti per il mantenimento dell’eccezionale regime di esecuzione penale».
Sessantacinque anni, Sacco è stato trasferito nel carcere di Livorno dove – come specificato dal Dap – potrà beneficiare di un’«ampia offerta specialistica» e della possibilità di avvalersi all’occorrenza «delle strutture sanitarie del territorio». Sacco aveva ottenuto i domiciliari in ragione anche delle sue condizioni di salute: ha avuto un infarto del miocardio e soffre di cardiopatia ipertensiva. Sacco è considerato un elemento di spicco della famiglia mafiosa di Brancaccio, nel Palermitano. Nel maggio del 2016 fu condannato in via definitiva a 15 anni 4 mesi.
Dopo di lui toccherà ad altri malavitosi. Il vicecapo del Dap avrebbe già stilato un elenco di primi 20 nomi sui quali a stretto giro saranno chiamati a pronunciarsi i diversi magistrati di Sorveglianza.
Il decreto legge di Bonafede, che si compone di sette articoli, è stato approvato sabato scorso. Esso impone ai giudici di Sorveglianza di rivalutare in 15 giorni se sussistano ancora i motivi legati all’emergenza sanitaria che hanno determinato i provvedimenti di differimento della pena. Il magistrato può decidere anche in tempi più brevi «nel caso in cui il Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria comunica la disponibilità di strutture penitenziarie o di reparti di medicina protetta adeguati alle condizioni di salute del detenuto o dell’internato ammesso alla detenzione domiciliare o ad usufruire del differimento della pena». Per gli imputati in custodia cautelare (quindi in assenza di condanna definitiva), il decreto impone al pubblico ministero di chiedere «al giudice il ripristino della custodia cautelare in carcere, se reputa che permangono le originarie esigenze cautelari» quando «acquisisce elementi in ordine al sopravvenuto mutamento delle condizioni che hanno giustificato la sostituzione della misura cautelare o alla disponibilità di strutture penitenziarie o reparti di medicina protetta adeguate alle condizioni di salute dell’imputato». Infine, il decreto prevede anche nuove regole sui colloqui in carcere per prevenire il contagio del Covid-19. «Dal 19 maggio 2020 e sino alla data del 30 giugno 2020, i colloqui con i congiunti o con altre persone cui hanno diritto i condannati, gli internati e gli imputati possono essere svolti a distanza, mediante, ove possibile, apparecchiature e collegamenti di cui dispone l’amministrazione penitenziaria e minorile o mediante corrispondenza telefonica», si legge. Vi è comunque il diritto dei detenuti di beneficiare di un colloquio al mese con la modalità della presenza.
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mercoledì, 13 Maggio 2020 - 13:14
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