Omicidio D’Andò, confermate le condanne per il boss Riccio e 4 affiliati agli Amato-Pagano. Fecero ritrovare i resti dopo anni

Antonino D'Andò
Il luogo in cui sono stati ritrovati i resti di Antonino D'Andò, vittima di lupara bianca nel febbraio 2011

La sentenza di condanna emessa il 24 maggio del 2019 dal giudice per le indagini preliminari della 26esima sezione penale del Tribunale di Napoli è stata confermata. Nella forma e nella sostanza. Nel primo pomeriggio di oggi i giudici della terza sezione della Corte d’Assise d’Appello di Napoli (presidente Del Balzo) hanno condannato il boss Mario Riccio ed altri quattro esponenti del clan Amato-Pagano per l’omicidio di Antonino D’Andò, l’uomo di fiducia della famiglia Amato che il 2 febbraio del 2011 fu vittima di lupara bianca. Tutti gli imputati si sono visti confermare la pena di 20 anni di reclusione per omicidio volontario e occultamento di cadavere, reati aggravati dall’uso delle armi illegalmente detenute, dalla premeditazione e dall’aggravante della matrice camorristica: oltre a Mario Riccio (genero del boss Cesare Pagano e all’epoca dei fatti alla guida del clan Amato-Pagano), sono stati condannati Emanuele Baiano, Mario Ferraiuolo, Giosuè Belgiorno (che nel pieno dell’emergenza Covid aveva ottenuto i domiciliari, salvo poi tornare in cella per effetto del decreto Bonafede) e Ciro Scognamiglio.

Ad incidere sull’entità della pena, già in sede di abbreviato, fu la circostanza che – a processo iniziato – gli imputati non solo decisero di ammettere gli addebiti (cioè di confermare le responsabilità a loro addossate dalla procura) ma indicarono alla Dda il luogo esatto in cui erano stati sepolti i resti di D’Andò, che gli inquirenti non erano mai riusciti a ritrovare. Proprio questo ‘apertura’ nei confronti della procura, spinse il gip a concedere agli imputati le attenuanti generiche che portarono all’abbattimento della pena (la procura chiese l’ergastolo). Il collegio difensivo è stato rappresentato dagli avvocati Emilio Martino, Raffaele Chiummariello, Massimo Autieri, Rosa Ciccarelli e Dmenico Dello Iacono.

D’Andò venne ammazzato nel corso di una lotta intera agli Amato-Pagano: i due rami della famiglia erano entrati in rotta di collisione per via della gestione degli affari illeciti. Riccio, approfittando dell’assenza di un esponente di vertice degli Amato che bilanciasse il suo potere, prese il sopravvento e ridusse gli Amato al rango di meri affiliati, innescando così una tensione tra le due ‘famiglie’. Quella tensione sfociò in diversi agguati, uno dei quali fu ai danni di D’Andò che, in qualità di fedelissimo del ‘ramo’ Amato, aveva osato mettere in discussione la leadership di Riccio.

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giovedì, 4 Giugno 2020 - 17:10
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