Nelle loro azioni «non ci fu intenzionalità decettiva». Tradotto: non vi fu inganno. E’ per queste ragioni che il pubblico ministero Stefano Civardi ha chiesto l’assoluzione degli ex vertici del Monte Paschi di Siena al processo che li vede imputati per false comunicazioni sociali (l’ex falso in bilancio, per intenderci) e aggiotaggio per fatti relativi al periodo in cui ne erano alla guida. La richiesta di assoluzione ha interessato Alessandro Profumo, ex presidente di Mps e attualmente amministratore delegato di Leonardo; Fabrizio Viola, ex amministratore delegato della banca senese; Paolo Salvadori, ex presidente del collegio sindacale di Mps.
Nel dettaglio, il pm Stefano Civardi ha chiesto l’assoluzione «perché il fatto non sussiste» per il reato di aggiotaggio contestato a Profumo e Viola e per quello di false comunicazioni sociali contestato a tutti gli imputati per il bilancio 2012 e per la prima semestrale del 2015 e l’assoluzione «perché il fatto non è previsto dalla legge come reato» per la contestazione di false comunicazioni sociali in merito ai bilanci 2013 e 2014.
La procura di Milano era stata costretta a sostenere l’accusa in giudizio a seguito dell’imputazione coatta disposta dal gip Livio Cristofano che respinse la richiesta di opposizione. Tuttavia il dibattimento e la verifica degli elementi investigativi raccolti, non ha fatto cambiare idea al rappresentante della pubblica accusa che ha mantenuto ferma la linea della non colpevolezza degli imputati. La procura ha sempre ipotizzato la rappresentazione non corretta nei conti della banca dei derivati Alexandria e Santorini (che erano stati sottoscritti da Mps con Deutsche Bank e Nomura dalla precedente gestione, quando presidente dell’istituto era Giuseppe Mussari) nei bilanci 2012, 2013 e 2014 e nella prima semestrale 2015. Viola e Profumo sono stati ai vertici della banca dal 2012 al 2015. Per la procura di Milano, i derivati furono sottoscritti per coprire una perdita di 2 miliardi di euro derivante dall’operazione di acquisto di Antonveneta. Tuttavia per la procura di Milano, la ‘malafede’ va addebitata ai ‘primi’ vertici di Mps e non alla successiva gestione Profumo-Viola, dal momento che – ha spiegato in aula il pm – «il nuovo management ha evidenziato le perdite dei derivati e ha spiegato il perché ha usato la contabilizzazione ‘a saldi aperti’ e ha pubblicato una nota integrativa al bilancio di Mps per spiegare gli effetti sul bilancio stesso di una eventuale contabilizzazione ‘a saldi chiusi». Per questa ragione, ha concluso il pm «si rende insostenibile l’intenzionalità decettiva (illegale, ingannatoria) del reato».
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martedì, 16 Giugno 2020 - 18:07
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