Le mani della ‘ndrangheta (anche) sui fondi ‘Covid’ stanziati in favore delle imprese. E’ quanto emerso dall’inchiesta della Guardia di Finanza di Milano, coordinata dalla Procura milanese, sugli affari delle cosche nel tessuto economico lombardo. L’indagine ha portato all’arresto di 8 persone, accusate di associazione per delinquere finalizzata alla frode fiscale aggravata dal metodo mafioso e dalla disponibilità di armi, autoriciclaggio, intestazione fittizia di beni e bancarotta. Ma ha anche svelato come la ‘ndrangheta volesse approfittare anche dei fondi per le imprese danneggiate dal Coronavirus: un presunto affiliato avrebbe chiesto e ottenuto un prestito a fondo perduto e voleva beneficiare anche dei finanziamenti per le imprese previsti per l’emergenza Covid.
Le indagini, condotte dal Gico della Gdf, sulle infiltrazioni della mafia calabrese nell’economia, come spiega il procuratore Francesco Greco in una nota, hanno accertato che «il principale indagato, indicato dai collaboratori come inserito» nel clan di San Mauro Marchesato che fa capo a Lino Greco nella provincia di Crotone «ha presentato richiesta ed ottenuto» per tre delle società inserite nello “schema di frode” i «contributi a fondo perduto», attestando un volume di affari non veritiero e fondato sulle false fatture. Contributi previsti dal decreto 34 del 19 maggio scorso. Inoltre, si legge ancora, ha tentato di beneficiare anche dei finanziamenti del decreto legge 23 dell’8 aprile che servono a «sostenere il sistema imprenditoriale nella particolare congiuntura economica determinata dall’emergenza sanitaria».
Quattro persone sono finite in carcere e quattro ai domiciliari e sono stati sequestrati beni, tra cui aziende e disponibilità finanziarie, per 7,5 milioni di euro. Perquisizioni in corso in varie regioni e in più la notifica di un avviso di conclusione indagini a carico di 27 persone. Il clan Greco è una ‘ndrina della ‘locale’ di Cutro (Crotone) e opera anche in Lombardia. L’inchiesta ha svelato «una complessa frode all’Iva nel settore del commercio di acciaio» con fatture false e attraverso società “cartiere” e “filtro”, anche all’estero, intestate a prestanome. Le imprese erano di fatto gestite da affiliati al clan che fa capo a Lino Greco, una “cosca federata” a quella di Cutro che fa capo a Grande Aracri. Contestato l’autoriciclaggio per mezzo milione di euro attraverso conti anche in Inghilterra e Bulgaria.
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martedì, 14 Luglio 2020 - 11:28
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