Riavvolgiamo il nastro di uno dei processi più delicati che verte su un ipotizzato giro di corruzione all’interno di un Palazzo di Giustizia ad opera di magistrati. Il processo riguarda la cittadella della legge di Trani. La cronaca capillare della terza udienza. Per leggere i servizi relativi alle prime due udienze, basta cliccare sul tag – alla fine dell’articolo – ‘sistema trani’.
«Dopo la sentenza di condanna si lamentò del fatto che l’avevano preso in giro, tutti e tre i giudici. Perché gli avevano promesso l’assoluzione, ma non è arrivata. Diceva “quanti soldi ho dato, quanti regali”».
E’ l’ottobre 2018 quando la Cassazione conferma la condanna per usura a cinque anni e quattro mesi di reclusione a Flavio D’Introno. L’imprenditore di Corato, imputato nel processo “Fenerator” incardinato in primo grado presso il tribunale di Trani e in secondo presso la Corte d’Appello di Bari, si lamenta con l’amico Pietro Riganti. Ed è lo stesso Pietro Riganti a raccontarlo all’udienza dell’11 dicembre 2019 nel processo a carico dell’ex gip tranese Michele Nardi, considerato a capo di un’organizzazione a delinquere finalizzata alla corruzione in atti giudiziari, dell’avvocato barese Simona Cuomo, del titolare di una palestra Gianluigi Patruno, dell’ispettore di polizia Vincenzo Di Chiaro e dell’ex cognato del pm tranese Antonio Savasta (ormai dimessosi) Savino Zagaria. Il fascicolo “Fenerator” è il “processo madre” dell’inchiesta sul “sistema Trani” e Flavio D’Introno è prima il corruttore poi il principale accusatore dei magistrati Michele Nardi, Antonio Savasta e Luigi Scimè. Questi ultimi due hanno chiesto e ottenuto di essere giudicati con rito abbreviato e sono stati di recente condannati.
Pietro Riganti, teste citato dall’accusa, rappresentata dai pm Roberta Licci e Alessandro Prontera, ha spiegato dinanzi al collegio giudicante presieduto da Pietro Baffa cosa l’amico imprenditore gli aveva confessato: «Flavio disse “ho parlato con Savasta, mi ha detto ‘vattene alle Seychelles per non rimanere in Italia, poi vediamo la situazione’”. Ma non ha voluto, non poteva lasciare moglie e figli». Il racconto del testimone ha poi toccato anche Scimè, che gli è parso di vedere in piazza Duomo a Milano lo stesso giorno in cui Riganti era lì in vacanza insieme a D’Introno e alle loro rispettive famiglie. «Stavamo al bar davanti al Duomo. Flavio disse: “mi allontano, vado a fare un servizio”. Si allontanò per venti minuti mezz’ora, non lo so. Quando ci alzammo e mentre stavamo passeggiando vidi questa persona ma non so di chi era in compagnia. E dissi a Flavio (scherzando, ndr): “Ma qua te lo sei portato a Scimé?”. Lui disse: “La vuoi smettere. Non è lui”». Riganti ha evidenziato di non avere certezze né sull’identità del magistrato né sulla data in cui l’episodio è avvenuto. Il teste, comunque, conosceva le fattezze di Scimè in quanto quest’ultimo è stato titolare dell’accusa nel processo che lo ha visto imputato – e poi assolto con formula piena – per associazione a delinquere di stampo mafioso e traffico di clandestini. Fatti – ha precisato Riganti – risalenti al 2013. E proprio per quei fatti D’Introno – ha dichiarato il teste incalzato dalla pm Licci – si era offerto di aiutarlo tramite le sue amicizie: «Mi diceva “Io ho gli amici, ti presento gli amici”. Io dicevo di no perché sapevo di non avere fatto niente». E ancora: «“Me la vedo io, metto io l’avvocato”. Misi Simona Cuomo su indicazione di Flavio, poi dopo dieci giorni revocai il mandato». Durante la deposizione, Pietro Riganti, così come otto dei nove testimoni ascoltati nel corso della lunga udienza (maestranze che hanno lavorato per D’Introno), ha parlato dei lavori di ristrutturazione commissionatigli dall’imprenditore per un appartamento a Roma, una villa a Trani e una palestra a Barletta.
I testi Pietro Riganti ed Enzo De Grecis tramite D’Introno avevano conosciuto Michele Nardi in qualità di architetto. De Grecis, in particolare, sapeva che Nardi fosse anche il proprietario dell’abitazione romana: «Io gli chiesi “la casa è tua?” e lui mi ha risposto “no, è dell’architetto”». «D’Introno diceva che l’appartamento (di Roma, ndr) era di sua proprietà, poi, voci di popolo, si è venuto a sapere che era di un magistrato di Trani… da inquilini, dal custode del palazzo. Tra le maestranze girava questa voce», ha dichiarato Cosimo Iona, pittore edile che ha partecipato ai lavori. Quanto alla palestra (di proprietà di Pierluigi Patruno) sempre Enzo De Grecis ha raccontato che gli venivano date indicazioni da Emilia Savasta, sorella dell’ex magistrato.
lunedì, 20 Luglio 2020 - 17:35
© RIPRODUZIONE RISERVATA