«Episodi gravissimi» che gettano un «fortissimo discredito» nei riguardi dell’impegno che migliaia di carabinieri «quotidianamente garantiscono al servizio dei cittadini e a tutela della legalità». Il comandante della Legione Carabinieri Emilia Romagna Davide Angrisani descrive con un commento amaro lo scenario d’inchiesta che al sequestro della stazione dell’Arma Levante in via Caccialupo a Piacenza e all’arresto di sei carabinieri che lì operavano. Cinque dei militari arrestati sono finiti in carcere, il comandante della stazione è stato sottoposto ai domiciliari. Per altri tre carabinieri è stato disposto l’obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria, mentre un altro carabiniere dovrà rispettare l’obbligo di dimora nella provincia di Piacenza.
Le intercettazioni disegnano il filo lungo il quale si snodano i reati, contestati a vario titolo, di estorsione, traffico di droga, arresto illegale, tortura, lesioni personali aggravate, peculato, abuso di ufficio, falsità ideologica commessa da pubblico ufficiale in atti pubblici connessa ad arresti completamente falsati («per apparire più bravi di altri colleghi»), perquisizioni ed ispezioni personali arbitrarie, violenza privata aggravata e truffa ai danni dello Stato. Un rosario di reati «impressionanti» che spinge il procuratore capo di Piacenza Grazia Pradella ad affermare come «non c’è stato quasi nulla in quella caserma di lecito». Cosa accadeva in quella caserma è racchiuso in un’ordinanza di 300 pagine, che ha accolto la ricostruzione accusatoria tratteggiata dai pm Matteo Centini e Antonio Colonna.
Alcuni carabinieri sono accusati di avere approvvigionato di droga gli spacciatori rimasti senza stupefacente e, il dato ancora più sconcertante, è che questa operazione è avvenuta pure durante il lockdown. «Tutti gli illeciti più gravi sono stati commessi in piena epoca Covid e del lockdown, con disprezzo delle più elementari regole di cautela imposte dai decreti del Presidente del Consiglio. Mentre la città di Piacenza contava i tanti morti del coronavirus, questi carabinieri approvvigionavano di droga gli spacciatori rimasti senza stupefacente a casa delle norme anti covid», ha spiegato il procuratore Pradella. Il modus operandi era inqualificabile: alcuni carabinieri «cercavano di reperire stupefacente sequestrandolo ai pusher che non facevano parte della rete dei loro informatori. Quindi lo stupefacente veniva sequestrato: una parte veniva messo a disposizione dell’autorità giudiziaria, una parte veniva dato ai confidenti per ripagarli della ‘soffiata’ ricevuta e – ha spiegato il magistrato – una parte veniva consegnato ai pusher di fiducia per la commercializzazione sul territorio piacentino. Mentre Piacenza stava contando i suoi morti durante il lockdown questi signori si preoccupavano di rifornire i tossicodipendenti».
A fare luce sul coinvolgimento di alcuni carabinieri nello spaccio di droga sono le intercettazioni: «Però Davide i contatti ce li ha tutti lui, quelli grossi! – prosegue il carabiniere nell’intercettazione – Lui siccome è stato nella merda, e a Piacenza comunque conosce tutti gli spacciatori, abbiamo trovato un’altra persona che sta sotto di noi. Questa persona qua va tutti da questi gli spacciatori». «Guarda, da oggi in poi, se vuoi vendere la roba… vendi questa qua, altrimenti non lavori! – si legge ancora in un’intercettazione – la roba gliela diamo noi! Poi lui… loro a su… a loro volta avranno i loro spacciatori… quindi è una catena che a noi arriveranno mai». In un altro passaggio, lo stesso carabiniere si vantava: «Ho fatto un’associazione a delinquere ragazzi (…) in poche parole abbiamo fatto una piramide (…) noi siamo irraggiungibili».
Un altro allarmante aspetto è ciò che si celava dietro l’arresto di alcuni piccoli spacciatori che non facevano parte della rete di informatori dei carabinieri infedeli. Essi venivano arrestati al solo scopo di consentire ai militari dell’Arma di ‘fare numero’ e dimostrare di essere bravi nel loro lavoro. «Erano accompagnati da una sorta di auto-esaltazione per essere più bravi dei colleghi di altre caserme. Pur di sembrare più bravi a fare gli arresti non badavano alle modalità operative», dicono gli inquirenti. E sempre gli spacciatori che non ‘rientravano’ nel cerchio magico dei carabinieri diventavano vittime anche di violenti pestaggi. I reati di tortura e lesioni contestati riguardano infatti le aggressioni ai danni di spacciatori che non volevano collaborare ed entrare nella rete clandestina di gestione della droga nel quartiere che, secondo le accuse, i militari avevano creato. In un caso uno spacciatore fu pestato in caserma per per non aver voluto rivelare dove si trovava un ingente quantitativo di droga sul quale i carabinieri avrebbero voluto mettere le mani. Nelle intercettazioni ambientali i militari, dopo il pestaggio, cercano dello scottex per pulirlo dal tanto sangue che aveva addosso.
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mercoledì, 22 Luglio 2020 - 18:38
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