Una organizzazione criminale è stata scoperta e sgominata dai carabinieri del Comando provinciale di Reggio Calabria che ha eseguito 14 misure cautelari (12 in carcere e 2 ai domiciliari) emesse dal gip del Tribunale di Reggio Calabria Stefania Rachele su richiesta del procuratore aggiunto Calogero Gaetano paci e del sostituto procuratore Francesco Pinzetta. Le accuse nei confronti degli indagati (Alessandro Bruzzese, Antonino Bruzzese, Girolamo Bruzzese, Girolamo Bruzzese di 37 anni, Michele Cilona, Giuseppe Conteduca, Rocco Elia, Pierluigi Etzi, Michele Giardino, Giuseppe Maiolo , Pisano Salvatore, Vincenzo Prochilo – tutti in carcere – Maria Teresa Fazari e Francesco Perrella -ai domiciliari) sono di traffico ed associazione finalizzata al traffico illecito di sostanze stupefacenti o psicotrope, favoreggiamento personale di latitanti appartenenti alla ‘ndrangheta, detenzione e porto abusivo di armi da sparo comuni e da guerra. Altre 7 persone sono indagate in stato di libertà.
L’operazione, convenzionalmente denominata Gear, ha consentito di disarticolare un sodalizio che aveva stabilito la sua base nevralgica in una cava di inerti a Gioia Tauro, la cui finalità prioritaria secondo gli inquirenti era quella di agevolare la latitanza di pericolosi boss della ’ndrangheta sottrattisi, nel corso del tempo, ai provvedimenti di cattura emessi dall’Autorità Giudiziaria. La stessa organizzazione curava inoltre un indefinito numero di traffici di consistenti quantitativi di cocaina, marijuana, eroina e hashish e custodiva numerose armi da sparo comuni e da guerra, detenute in modo clandestino, che andavano a rafforzare l’efficacia ed il potenziale delle altre aggregazioni criminali del «Mandamento Tirrenico» della provincia di Reggio Calabria.
L’indagine, andata avanti nel periodo compreso tra il mese di luglio 2017 ed il mese di dicembre 2018, è partita dalla cattura dei latitanti Antonino Pesce, Salvatore Etzi e Salvatore Palumbo. In particolare, il monitoraggio di mogli, fidanzate, parenti e favoreggiatori dei latitanti ha consentito di far emergere la centralità del sito di estrazione, in Contrada Pontevecchio di Gioia Tauro, che poi si rivelava essere un vero e proprio snodo delle attività delittuose gravitanti principalmente attorno alle figure dei cugini Bruzzese, tutti arrestati.
Il monitoraggio di questa cava permetteva ai carabinieri di Gioia Tauro di catturare, il 14 aprile 2018, un quarto latitante, Vincenzo Di Marte, inserito nell’«elenco dei latitanti pericolosi» e ritenuto un elemento di spicco della cosca di ‘ndrangheta Pesce, operante nel territorio di Rosarno, ed irreperibile dal mese di giugno 2015 quando sfuggì all’arresto nel corso dell’operazione ‘Santa Fè, nell’ambito della quale era indagato per i reati di associazione per delinquere finalizzata al traffico internazionale delle sostanze stupefacenti con l’aggravante della transnazionalità e dell’aver agevolato la cosca di riferimento e quella degli “Alvaro” di Sinopoli; reati per i quali il Di Marte era già stato condannato in primo grado a 14 anni di reclusione.
La cava, che si trovava al centro del territorio di influenza delle cosche della Piana, era divenuta base operativa e logistica della criminalità organizzata per tutte le più importanti attività delittuose: qui venivano nascosti i pacchi con la droga e gli affiliati si incontravano per decidere le strategie del gruppo. . Tra le attività illecite in cui l’organizzazione era ‘specializzata’, il favoreggiamento dei latitanti cui venivano messi a disposizione immobili, cibo, e occasioni di incontro coi familiari; lo spaccio di droga proveniente da Albania, Grecia, Marocco, Spagna, Turchia; la detenzione di armi da sparo comuni e di guerra.
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martedì, 28 Luglio 2020 - 08:25
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