Napoli, ristoratori in piazza contro l’ordinanza sul coprifuoco: «Condannati a morire». De Luca: «Non si cambia» | Video

Immagini della manifestazione svoltasi a Napoli venerdì 9 ottobre 2020

C’è chi lamenta già una perdita fino all’80% dell’incasso giornaliero e chi, invece, teme di non riuscire a superare questa seconda batosta. Davanti all’ingresso della Regione Campania la protesta del mondo della ristorazione contro l’ordinanza sul ‘coprifuoco’ imposto da De Luca passa attraverso l’esposizione di cartelli e il cartonato di giganti chiavi nere, a simboleggiare le chiavi dei locali che rischiano il crac.

«Questa ordinanza avrà un impatto devastante sui gestori dei baretti spiega Aldo Maccaroni, presidente del comitato Chiaia Night e Baretti Falcone – La gente scende solitamente alle dieci di sera per stare insieme dopo cena e farci chiudere alle 23 vuole dire condannarci a morire». Molti gestori, soprattuto quelli di via Falcone, stanno pensando di gettare la spugna. «Non reggeremo a lungo all’impatto», incalza Maccaroni.

Soffrono anche pizzerie e ristoranti, per non parlare degli chalet. Ieri sera, mezz’ora dopo quelle fatidiche 23 che di fatto segnano l’interruzione delle attività, Mergellina e via Partenope erano spettrali (come è possibile vedere dal video e dalle foto che seguono). Chiusi tutti, ad eccezione di un paio di attività dove all’interno si stava procedendo alla pulizia. Ma seduto ai tavoli non vi era alcun cliente, benché l’ordinanza consenta ai ristoranti e pizzerie di restare aperti oltre le 23 per servire persone a patto che i clienti siano entrati prima del ‘coprifuoco’.

Solo nella zona di Santa Lucia si è visto qualche locale aperto ma a consumare c’era una manciata di persone. Poche per sorreggere i costi di un’attività. A dare la misura del deserto in cui è piombata Napoli sono anche i posti incredibilmente vuoti nei garage a ridosso di piazza Vittoria e le deserte strisce blu per le auto dalla Riviera di Chiaia, passando per piazza Sannazzaro per poi arrivare a Mergellina. «Non possiamo subire ordinanze scellerate che non risolvono i problemi dei contagi – dice Carla Della Corte, presidente di Confcommercio Napoli durante la manifestazione di stamattina – Non si può penalizzare solo una categoria».

La rabbia sta proprio nella sensazione di essere diventati dei capri espiatori. «Noi pensiamo di non essere gli untori, di non essere i responsabili di questa situazione. Rispettiamo tutte le misure che sono state imposte per lavorare in sicurezza. Non capiamo perché non possiamo lavorare», lamenta Ciro Salvo di 50 Kalò. Gli fa eco Antonio Sergio, titolare dello storico Gambrinus in piazza Trieste e Trento: «Queste ordinanze fanno leva sul terrore e allontanano le persone dalle attività. Non possiamo subire un’ulteriore perdita come con il lockdown».

«Perché non si pone attenzione sui reali assembramenti come i mezzi pubblici? Perché si danno limitazioni solo a noi che già rispettiamo rigide misure e che abbiamo tutto l’interesse a rispettare i controlli e ad evitare casi di contagio dal momento in presenza di casi positivi nell’azienda siamo costretti a chiudere?», si chiede Massimo Di Porzio, presidente provinciale per Napoli della Fipe Confcommercio. Domande legittime alle quali però non v’è risposta. Stamattina una delegazione di Fipe è stata ricevuta dall’assessore regionale alle Attività produttive e ha esposto le proprie ragioni, chiedendo la revoca dell’ordinanza.

Una richiesta alla quale, qualche ora dopo, Vincenzo De Luca ha risposto in diretta Facebook chiudendo di fatto la porta a ogni dialogo. «Le associazioni del commercio ci hanno chiesto diverse cose. Ma solo una è ragionevole: anticipare l’apertura alle 5 del mattino anziché alle 6. Il resto no», ha detto De Luca. Poi il governatore ha criticato usi e costumi delle persone: «In Europa, ma anche nella gran parte dell’Italia, quando si va in un ristorante non alle 23, ma in qualche caso alle 21.30, ti dicono che la cucina è chiusa. Alle 22 non si cena da nessuna parte. Ci sono, quindi, delle cattive abitudini che vanno modificate soprattutto in un momento critico come questo». Quindi il messaggio perentorio ai ristoratori: «Non è la repressione, non è il fascismo, non è il sadismo, è il minimo indispensabile se vogliamo non essere costretti a chiudere tutto».

Una presa di posizione che ha spiazzato i ristoratori scesi in piazza stamattina. «Ci aspettavamo che il dialogo sarebbe stato difficile – replica Di Porzio – Attendiamo però una risposta ufficiale, non a mezzo Facebook, visto che stamattina c’è stato un incontro ufficiale. Io mi rendo conto che c’è un’emergenza sanitaria e noi siamo pronti a fare la nostra parte. Siamo pronti a controlli più stringenti, ma vogliamo lavorare, vogliamo essere messi nelle condizioni di fare quadrare i conti. Non vogliamo diventare un capro espiatorio di una situazione che non dipende da noi». Anche perché a ogni ora di lavoro persa corrisponde un segno meno sui bilanci. «Ci troviamo in una condizione di restrizione che non prevede neanche risarcimento – conclude Di Porzio – Intendo che il 15 ottobre non ci saranno sospensioni per le scadenze fiscali. A fine mese arriverà anche la Tari da pagare, inclusa quella relativa ai mesi del lockdown. Noi abbiamo un disagio serio, reale, e speriamo che De Luca se ne renda conto, altrimenti si ritroverà tante aziende sul lastrico». 

venerdì, 9 Ottobre 2020 - 20:31
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