Giustizia, il presidente del Tribunale di Bologna boccia lo smart working al 50%: «Così chiudiamo, c’è già poco personale»

Tribunale di Bologna (Facebook utenti)
Il Tribunale di Bologna

Per il Governo Conte lo smart working è una strategia per evitare ‘assembramenti’ sui posti di lavoro ma soprattutto per alleggerire il flusso di pendolari che usano i mezzi pubblici. Ma c’è chi, nell’ambito della pubblica amministrazione, non la pensa alla stessa maniera ed anzi ritiene che lo smart working equivalga a fermare la già zoppicante macchina lavorativa.

La voce fuori dal coro è quella del presidente del Tribunale di Bologna Francesco Caruso che ieri (venerdì 16 ottobre), incontrando i giornalisti per fare il punto sull’impatto dell’emergenza Coronavirus negli uffici giudiziaria, ha spiegato senza giri di parole che l’accordo raggiunto mercoledì da sindacati e ministero in base al quale si impone di garantire lo  smart working per almeno il 50% del personale dell’amministrazione giudiziaria «significa quasi chiudere», in quanto «abbiamo già una carenza del 30% di personale amministrativo e non abbiamo la possibilità di consentire ai dipendenti amministrativi di connettersi da casa con i registri informatizzati del Tribunale». A ciò si aggiunga che la mole di lavoro è aumentata per effetto del lockdown: per quanto riguarda «i processi penali noi ne abbiamo oltre 11mila pendenti, e la pendenza è aumentata perché per tre mesi di fatto non abbiamo lavorato, svolgendo solo le attività urgenti. Cercavamo di riprendere adesso a ritmi serrati, ma non è possibile». 

E, dunque, cosa accadrà alla luce dell’accordo? «Bisognerà discutere dell’organizzazione, ma noi non abbiamo un 50% di attività che si possono fare in smart working – ragiona il presidente Caruso – Già ci manca il 30% del personale, inoltre non ci sono servizi che realisticamente si possono fare in smart working». Per Caruso al massimo «potremmo arrivare a farne in smart working un 10%, e mi riferisco ad alcune attività  amministrative che non richiedono il collegamento ai registri informatizzati o altri contatti con il pubblico», altrimenti «non abbiamo la possibilità di consentire al personale di accedere da casa ai registri informatizzati», e «non possiamo consentire ulteriori distacchi di persone che da casa non potrebbero svolgere appieno il loro lavoro». 

Per Caruso lo smart working non è una soluzione adatta al Palazzo di Giustizia di Bologna. E, tuttavia, non si può ignorare che un problema assembramento c’è: ci sono «code e intasamenti» dovute anche «all’inadeguatezza di questo palazzo», osserva. E gli intasamenti principali si verificano in occasione delle udienze. «Riconosco che le udienze sono state fissate male: i giudici dovevano avere l’accortezza di non fissarle tutte alle stessa ora, ma io ho fatto un decreto generale in cui dico che quando più  processi sono fissati alla stessa ora devono ritenersi fissati a distanza di cinque-10 minuti l’uno dall’altro», ammette Caruso. Che però lancia un appello agli avvocati affinché essi collaborino: «Stiamo cercando di far capire che se non vengono trovati subito quando viene chiamato il loro processo non vengono dati per assenti: è un timore infondato, perché gli avvocati, se non rispondono subito, vengono cercati, quindi non serve che stiano tutti dietro la porta dell’aula».

Nel Tribunale bolognese, assicura Caruso, «utilizziamo impiegati, Carabinieri e anche tirocinanti per chiamare le cause e cercare gli avvocati, e lo facciamo proprio per prevenire assembramenti». Ora, annuncia Caruso, «faremo un altro provvedimento in cui disporremo che si deve aspettare in determinati posti per evitare assembramenti, ma deve esserci senso di responsabilità da parte di tutti». 

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sabato, 17 Ottobre 2020 - 12:35
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