Caso Shalabayeva, la doppia mazzata della sentenza: poliziotti stangati, rimosso il questore di Palermo condannato

La polizia

E’ stata una sentenza severissima quella che lo scorso 14 ottobre ha chiuso il processo sulle anomale modalità legate al rimpatrio di Alma Shalabayeva, e della figlia Alua, sei anni, dall’Italia in Kazakhstan alla fine del maggio del 2013. Una sentenza che ha spinto il capo della Polizia Franco Gabrielli a rimuovere dal loro attuale incarico, trasferendoli ad altre mansioni, due funzionari di polizia di primissimo piano come Maurizio Improta e Renato Cortese che sono stati riconosciuti colpevoli rispetto ad alcune pesanti contestazioni.

Ma andiamo con ordine, partendo dalla sentenza firmata dal Tribunale di Perugia (presidente Giuseppe Narducci) e arrivata dopo otto ore di camera di consiglio. Il verdetto ha riconosciuto che le modalità di rimpatrio della donna e della bambina, moglie e figlia del dissidente kazako Muktar Ablyazov (sospettato di attività terroristiche poi rivelatesi inesistenti), hanno integrato il reato di sequestro di persona.

Un’accusa pesantissima per la quale i giudici hanno inflitto 5 anni di reclusione a Renato Cortese (ex capo della Squadra Mobile di Roma, già direttore del Servizio centrale operativo e questore a Palermo sino alla sentenza) e a Maurizio Improta (ex responsabile dell’ufficio immigrazione della Questura capitolina e ora a capo della Polfer). Disposta anche l’interdizione perpetua dai pubblici uffici. Condannati anche Luca Armeni e Francesco Stampacchia, funzionari della squadra mobile: 5 anni a testa. Mentre 4 anni sono stati decisi per Vincenzo Tramma e 3 anni e 6 mesi per Stefano Leoni. Infine i giudici hanno condannato a due anni, ma solo per falso,  il giudice di pace che si occupò del procedimento Stefania Lavore: l’accusa di sequestro di persona che le era stata contestata è stata cancellata da una pronuncia di assoluzione. Infine il tribunale ha assolto gli imputati da una decina dei capi d’accusa per falso ideologico, abuso e omissione d’atti d’ufficio. Il pm Massimo Casucci aveva chiesto condanne più lievi di quelle comminate dal tribunale.

La difesa degli imputati ha già annunciato ricorso in Appello. Cortese, Improta e gli altri poliziotti coinvolti, così come il giudice di pace, hanno sempre rivendicato la correttezza del loro comportamento. «Imputati ma galantuomini – ha sottolineato l’avvocato Massimo Biffa -, la punta di diamante della polizia. Bisognerebbe essere fieri di essere rappresentati da loro».

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Soddisfatto, ma a metà, l’avvocato Astolfo Di Amato, che rappresenta Alma Shalabayeva costituitasi parte civile: «Nessun imputato aveva un interesse personale – ha detto – e quindi hanno obbedito a degli ordini. Chi li ha dati l’ha fatta franca». Sarà ora il tribunale a dover offrire una propria lettura di quanto successo nelle ore che portarono all’espulsione, attraverso le motivazioni della sentenza.

I fatti, come noto, risalgono al al 2013 quando Alma Shalabayeva e la figlia furono espulse dall’Italia. La donna e la bambina furono prelevate dalla polizia dopo un’irruzione nella loro abitazione di Casalpalocco il 29 maggio del 2013. Il blitz, in realtà, era finalizzato a trovare il marito della donna ma poi, dopo un velocissimo iter giuridico-amministrativo, la donna e la bimba furono messe su un aereo privato messo a disposizione delle autorità di Astana con l’accusa di possesso di passaporto falso. Il caso fece scalpore e creò un vero e proprio terremoto: il capo di gabinetto del ministero dell’Interno Giuseppe Procaccini si dimise; l’allora ministro dell’Interno Angelino Alfano fu oggetto di una mozione di sfiducia poi respinta dal Parlamento. Il 24 dicembre dello stesso anno Alma Shalabayeva e la figlia lasciarono il Kazakistan e rientrarono in Italia. Oggi la donna e la bimba vivono a Roma, mentre il marito il dissidente kazako Mukhtar Ablyazov è in Francia dove gli è stato riconosciuto l’asilo politico. 

Il verdetto ha portato già delle pesanti scosse. Su decisione del capo della polizia Franco Gabrielli, Renato Corte e Maurizio Improta sono stati rimossi dal loro incarico e trasferiti ad altre mansioni: il dipartimento di Pubblica sicurezza ha attivato per entrambi la procedura amministrativa dell’istituto giuridico della disponibilità. «Pur ribadendo la profonda amarezza ed il pieno convincimento dell’estraneità dei poliziotti ai fatti» ha detto Gabrielli qualche giorno fa, con la decisione presa si riafferma il principio che «la Polizia, il cui motto non a caso è ‘sub lege libertas’, osserva e si attiene a quanto pronunciato dalle sentenze, quand’anche non definitive».

lunedì, 19 Ottobre 2020 - 13:00
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