Dietro quella tuta antiepidemica indossata non in ospedale ma in un palazzo di giustizia c’è una storia di sofferenza vera e di paura. La paura di ammalarsi nuovamente e, magari, di non farcela. La paura di finire ancora una volta in ospedale e sperare, pregare che quelle cure pesantissime e invasive riescano a strapparti a un virus infido e ancora troppo poco conosciuto.
Michele Caccese è un giudice del settore civile di Napoli e da ieri la sua storia, professionale e lavorativa, rimbalza sulle pagine dei giornali. Qualche giorno fa si è presentato in udienza in tuta antiepidemica, mascherina e occhialini protettivi. Un abbigliamento che, in tv, abbiamo visto indosso ai medici in prima linea nel curare i pazienti Covid o ai medici del 118 chiamati a prelevare dagli appartamenti i malati più gravi. E in men che non si dica la singolarità dell’abbigliamento ha fatto il giro del palazzo di Giustizia di Napoli, complice anche una foto ‘rubata’ rimbalzata sui telefonini degli avvocati.
Sia ben chiaro, il giudice Caccese – impegnato nella sezione locazioni – non s’è vestito così per bizzarria né per uno smodato eccesso di prudenza. Il giudice Caccese, come egli stesso ha raccontato in un’intervista rilasciata all’Ansa, ha semplicemente inteso tutelare se stesso e gli altri dall’aggressività di un virus a causa del quale egli stesso ha rischiato brutto. Nei primi mesi dell’emergenza sanitaria, il giudice Caccese ha infatti contratto il Covid-19. E’ finito in ospedale e vi è rimasto quasi un mese. Ha superato il virus ma la sua «carica di anticorpi è precipitata». Ecco perché il giudice ha deciso di proteggersi. A ciò si aggiunga anche il fatto che Caccese teme di essersi contagiato proprio in Tribunale. «Sono sicuro di essermi infettato in tribunale perché in quei giorni uscivo solo per andare in ufficio», ha spiegato.
E quindi in ufficio vi è tornato ‘armato’ di tutto punto contro il Covid-19. «Ho ritenuto di utilizzare tale presidio perché nella situazione attuale degli ospedali se ci si ammala si muore – ha aggiunto – E io ritengo che tenere questi procedimenti senza misure adeguate, nell’impossibilità di razionalizzare l’afflusso, comporti un serio rischio di contagio».
Una storia, quella del giudice Caccese, che rilancia la questione ‘sicurezza sanitaria’ nei palazzi di giustizia e anche in quello di Napoli, dove ieri è scoppiato il putiferio per la cattiva gestione della chiamata dei processi dinanzi a un giudice monocratico che ha provocato l’iscrizione in ruolo di 48 processi e la presenza contemporanea in aula di una folla di avvocati, testi e parti offese.
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giovedì, 29 Ottobre 2020 - 15:29
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