Hanno lavorato per due anni sotto copertura. Infiltrandosi in chat segrete su Telegram e WhatsApp e fingendosi interessati a quel materiale pedopornografico che la rete di maniaci si scambiava con facilità. Questa mattina la Polizia Postale di Milano e del Centro nazionale per il contrasto della pedopornografia online del servizio polizia postale di Roma ha tirato le somme di un’indagine che ha interessato tutto il mondo: 432 le persone indagate, di cui 81 italiani; smantellate 16 associazioni criminali ed identificati oltre 140 gruppi pedopornografici. Non solo: gli agenti hanno anche eseguito perquisizioni e arresti in Italia: 18 le regioni interessate, 53 le province dove gli agenti hanno operato.
Ai vertici dell’organizzazione c’erano due italiani, un ottico con collaborazioni universitarie napoletano di 71 anni e un disoccupato veneziano di 20 anni: promuovevano e gestivano gruppi pedopornografici, organizzandone l’attività e reclutando nuovi sodali provenienti da ogni parte del mondo. Ciascun gruppo era regolato da precise e severe norme di comportamento finalizzate a preservare l’anonimato – e, quindi, gli affari del sodalizio criminale, oltre che dei singoli partecipanti. La violazione delle regole comportava, infatti, l’espulsione da parte degli amministratori. La lunga e capillare attività di indagine ha consentito di dare un nome ai nickname utilizzati in rete dai pedofili, portandoli allo scoperto e fuori dall’anonimato della rete.
Le indagini hanno evidenziato come il fenomeno criminale sia assolutamente trasversale, dal momento che tra gli indagati figurano persone di estrazione sociale ed eta’ molto eterogenee, quali affermati professionisti, operai, studenti, pensionati, impiegati privati e pubblici, di cui un vigile urbano e diversi disoccupati, con età anagrafiche che oscillano tra i 18 e i 71 anni. Rispetto al fattore geografico le regioni maggiormente interessate sono la Lombardia e la Campania dove risiede il 35 per cento degli indagati. Le perquisizioni personali, locali e sui sistemi informatici, hanno portato al sequestro di telefonini, tablet, hard disk, pen drive, computer e account di email e profili social. Durante le perquisizioni sono stati rinvenuti gli account utilizzati dagli indagati per la richiesta del materiale pedopornografico e un ingente quantitativo di materiale illecito custodito sui supporti informatici sottoposti a sequestro.
mercoledì, 16 Dicembre 2020 - 11:06
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